Non sono qui per annunciare una notizia che ha fatto il giro del mondo, ma per sottolineare la morte di un genio. Pazzo, certo. Ma un genio.
Michael Jackson, morto a causa di un infarto alla giovane età di 50 anni, in pochissimi anni ha fatto tutto quello che un musicista non riuscirebbe a fare in una o più vite.
Era compositore, cantante, arrangiatore, ballerino e – nessuno può negarlo – uomo di spettacolo sempre capace di attrarre l’attenzione su di lui. Ha inventato un genere musicale nuovo; ha portato alla celebrità passi di danza come il moonwalk; l’album Thriller è il più venduto della storia della musica mondiale, con 110 milioni di copie (e chissà di quanto salirà questa cifra dopo la sua morte). Anche da un punto di vista sociale ha sollevato giudizi sempre discordanti sull’opinione pubblica per le operazioni chirurgiche effettuate per diventare bianco di pelle.
Inoltre, non dimentichiamolo, è coautore con Lionel Richie del famosissimo brano “We are the world”, scritto per il continente africano, che ha permesso di devolvere in beneficienza milioni di dollari (altro che concerto per l’Abruzzo andato deserto a Milano qualche settimana fa).
Qualcuno penserà che Michael ora abbia raggiunto la celebre isola (forse ispirazione per gli autori di “Lost”) in cui dimorano da decine di anni Elvis Presley e Marilyn Monroe. Forse è anche vero, perché certa gente non muore mai.
Spero solo che il coroner, nell’annunciare il decesso, abbia scritto “bianco” sul referto alla voce “colore della pelle”. Lui avrebbe apprezzato.