Nonostante una colazione in ostello non proprio memorabile (tutto autogestito), la seconda giornata del viaggio inizia nel verso giusto con un ottimo caffè espresso al bar Carolla, nella zona universitaria di Coimbra: 60 centesimi a testa, un prezzo mai visto, in particolare in terra straniera.
Coimbra, pur essendo grande all’incirca come Pavia, non offre molto se non la zona universitaria, posta nella parte centrale della città, che domina la restante parte da una lieve altura. Gli edifici dell’ateneo ricordano quelli della Sapienza di Roma: un’estetica fascista, per un cuore di morbido e sano comunismo studentesco.
Dopo il giro del Rettorato in compagnia del sottofondo musicale di Maria Luisa e della sua inseparabile guida Clup, salutiamo l’Università di Coimbra con la visione della Facoltà di Farmacia, che giace abbandonata e piena di erbacce, cinta da un cancello chiuso.
Il giro prosegue nella chiesa del paese, come la tradizione europea vuole. Al suo interno gli altoparlanti usati normalmente per la messa diffondevano una soave musica sacra, forse per incentivare i visitatori a mantenere un religioso silenzio.
A pranzo, ci lanciamo di corsa verso il ristorante che ci ha negato una cena la sera prima, per trovare una coda di cinque persone davanti a noi che durerà quasi un’ora. Nel frattempo a turno andiamo a fare un giro, e io decido di comprare i francobolli per le cartoline. Trovo subito grazie a Navigon un vicino ufficio postale, per scoprire che in Portogallo il concetto stesso di “ufficio postale” è molto strano: trattasi di un piccolo bugigattolo all’interno di una specie di tabaccaio pieno zeppo di gratta-e-vinci, lotterie e scommesse sportive.
Ammazzato il tempo necessario per ottenere il posto, entriamo nel tanto agognato locale e scopriamo il motivo delle code interminabili: l’unica sala del locale, comprendente la cucina, è grande non più di 50 metri e contiene esattamente sei tavoli, per un totale di circa 30 posti. Se poi si considera che è uno dei locali di punta della città, un’ora di attesa risulta quasi dovuta.
La pappa è ovviamente superlativa, a base di carne (i portoghesi mangiano praticamente solo quella) e a prezzi come sempre fuori da ogni abitudine italiana. Alla fine mangiamo con circa 10 euro a testa, esattamente come la sera prima. Per il caffè e la pipì ci affidiamo a un bar poco distante, dove Maria Luisa, non troppo a piombo a causa del vino bevuto al ristorante, riesce a (o crede di) rompere l’asciugamano del bagno, scoppiando successivamente in una risata fragorosa.
Dopo pranzo, si parte per Lisbona, seconda tappa della vacanza. Il viaggio non è lungo, ma estremamente abbioccante, sia per il pranzo luculliano, sia per la voglia di Pocket Coffee instillatami da Maria Luisa: in tutte le aree servizio dove ci siamo fermati abbiamo trovato scaffali pieni di Mon Chéri e Ferrero Rocher, ma di Pocket Coffee nemmeno l’ombra.
All’arrivo ci aspetta Chiara, la cugina di Maria Luisa, studentessa di architettura in Erasmus a Lisbona. La serata procede in un’originale movida portoghese comprensiva di cena multietnica con vari amici di Chiara: una ragazza bulgara, una spagnola, un’italiana e un giappo-brasiliano (ma non ditegli che è giapponese o, peggio, cinese, altrimenti si arrabbia).
Ora si tratta di portare l’automobile in un parcheggio decente (quelli “blu” per strada non permettono il pagamento di più di quattro ore). Senza troppo guardare alla spesa, la abbandoniamo a un parcheggio del centro, in Piazza Figueira, a due passi dal nostro ostello. Questo, oltre a trovarsi in una posizione perfetta per visitare la città, offre una marea di servizi, un luogo accogliente e pulito e, non meno importanti, receptionist davvero attraenti!