Sceneggiatore open source

bonifacci

Ogni volta che si usa il termine “open source”, tutti pensano all’informatica. Per fortuna non è così: si può decidere di spontanea volontà di condividere conoscenza, cultura, tecnologia o semplicemente idee anche in altri ambiti.

Questo ha fatto Fabio Bonifacci. A molti il nome non dirà nulla, ma in realtà è un uomo che, nella vita, ha idee. Poi le elabora, le scrive, le riscrive (probabilmente), ci lavora e poi le trasforma in un film. Sono suoi il soggetto e la sceneggiatura di molti film italiani usciti nelle sale cinematografiche: Diverso da chi?, E allora Mambo, Si può fare, Lezioni di cioccolato.

Purtroppo, però, di un film vengono ricordati sempre e solo il regista, gli attori, il produttore e, qualche volta, chi ne ha scritto le musiche. Raramente l’autore della storia passa… alla storia! Questo post è anche per ricordare al mondo che in quelle centinaia di righine alla fine del film (che nessuno guarda mai) ci sono persone utili e persone indispensabili. Penso che l’autore della storia e dei dialoghi di un film appartenga alla seconda categoria.

Riporto un passo tratto dalla pagina Il mistero di B. Craven del suo blog, che credo renda molto bene l’idea.

Quando scrivi un film, hai il 90% di possibilità di non venderlo.

Se lo vendi hai il 90% di possibilità che non venga prodotto.

Se viene prodotto, hai il 90% di possibilità che venga stravolto.

Se tutto invece va bene, hai il 50% di possibilità che sia un flop.

Ma se per caso la tua storia viene venduta, prodotta, girata bene e diventa un successo, allora hai il 100% delle possibilità: il merito lo prenderà qualcun altro.

E’ sceneggiatore professionista chi accetta questo scenario.

E’ grande sceneggiatore chi lo ritiene scenario ideale per fare un buon lavoro.

Nonostante questo, o forse proprio per questo, Fabio Bonifacci ha deciso di insegnare ai lettori del suo blog come si scrive una storia. Gratis. Che poi questa storia sia pensata per un film o per un libro poco importa, sono solo questioni tecniche.

Penso che per essere “grande sceneggiatore” sia necessario anche questo.

Viaggio in Portogallo /4 – 12 dicembre 2010

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Come per ogni vacanza che si rispetti, l’ultimo giorno mette sempre un po’ di malinconia.

La mattina inizia in modo positivo, con la scoperta che le due “coinquiline” non hanno russato e che una di loro supera abbondantemente la linea di demarcazione tra “bello” e “brutto”. Dalla parte di “bello”, ovviamente.

Dopo una colazione fai-da-te nella cucina dell’ostello, ricca di fauna piuttosto variegata e di cibo piuttosto standard, una passeggiata nella storica città di Porto ci permette di raggiungere facilmente le vie centrali, costellate di negozi crisi, tendente abbandono, evidente povertà e, per fortuna, edifici dalle caratteristiche piastrelline azzurre, le azulejos. Solitamente utilizzate per decorare gli interni, a Porto le azulejos spiccano invece su chiese e palazzi dando un po’ di colore a questa città evidentemente colpita dalla crisi (nonostante la metropolitana nuovissima perfettamente funzionante).

Seguendo la linea di tram 22, storica almeno quanto la 28 di Lisbona, raggiungiamo la piazza del teatro, dove dopo qualche minuto ci raggiunge Maria Luisa, in ritardo sulla tabella di marcia per via della scoperta che dormire è bello.

La gita prosegue verso la Cattedrale (chiusa), il cui piazzale offre una splendida vista sulla sterminata distesa di cantine produttrici del vino locale, il Porto, in perfetto stile hollywoodiano (anche nei nomi, tipicamente anglosassoni).

Per pranzo ci raggiunge l’amica di Maria Luisa con il suo ragazzo. Andiamo a mangiare in un posto vicino al mare, nella periferia della città. Porto, infatti, nonostante il nome e l’apparente e ingannevole posizione sulle cartine, non è direttamente affacciata sul mare.

Parcheggiamo quindi l’automobile e ci deliziamo con un pranzo luculliano a prezzo bassissimo.

All’uscita, brutta sorpresa: qualche malintenzionato (probabilmente lo stesso losco figuro che ci ha “aiutato” a parcheggiare in perfetto stile napoletano) ha tentato di rubare la nostra preziosa Fiat Punto, per fortuna con esito negativo. Rimane però il danno alla serratura dell’auto, che Hertz quantificherà nella franchigia prevista dall’assicurazione: 70 euro. Poteva andare molto peggio.

Un po’ tristi per il funesto epilogo e un po’ per la vacanza ormai terminata, ci prepariamo alla partenza con uno dei tanti Boeing 737 di Ryanair.

Viaggio in Portogallo /3 – 11 dicembre 2010

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Il risveglio al mattino non è stato dei migliori: la ragazza dell’Alaska che ha condiviso la camera con noi non ha smesso un secondo di russare e per me che ho il sonno leggero è stato un vero e proprio trauma. La Vale non ha di questi problemi e ha ronfato come un sasso.

Per fortuna la colazione era da leccarsi i baffi. Una boccolosissima signora di mezza età ci aspettava nella hall dell’albergo con addirittura due opzioni tra cui scegliere: uova e pancetta in stile anglosassone oppure crêpe con marmellata e nutella in stile mediterraneo. Optiamo per la seconda scelta e ci sbafiamo la nostra porzione di crêpe.

Chiara, la cugina di Maria Luisa, è impegnata con l’università per tutta la mattina, quindi ci incontriamo in centro con Maria Luisa per andare alla scoperta della chiesa di Santa Maria di Belém, nella zona ovest di Lisbona. Qui ci attende una seconda colazione nel locale storico Pastéis de Belém a base di un dolce molto tipico del Portogallo, il pastéis, appunto.

Dopo l’obbligata visita alla torre (con relative foto al limite della decenza tipiche dei turisti in vacanza), si torna in centro per l’appuntamento con la cugina di Maria Luisa. Nell’attesa, le due fanciulle scoprono (mio malgrado) alcune bancarelle di ninnoli vari. Per fortuna Chiara non si fa troppo aspettare.

Il pranzo è una sorpresa, così come il viaggio per arrivarci. Prendiamo infatti lo storico tram 28, le cui carrozze risalgono agli inizi del secolo scorso. All’arrivo ci aspetta un bistrot di paese, tipico e poco turistico, che ci serve manicaretti da leccarsi i baffi (e io che i baffi li ho davvero so di cosa parlo).

La seconda parte della giornata trascorre in un vecchio mercato, dalle dimensioni spropositate, che i portoghesi chiamano “mercato delle cose rubate”. Al suo interno si trova qualunque cianfrusaglia che possa venire in mente: dalle sorpresine dell’equivalente degli ovetti Kinder autoctoni, a pezzi di cellulare palesemente rotti, passando per vestiti nuovi e usati, scarpe (anche una sola) e porcellana varia. Qui trovo un paio di oggetti che possono interessarmi: li porto a casa con circa cinque euro.

Lungo la strada del ritorno, seguendo a piedi il tracciato del tram 28 ci fermiamo a prendere un tè su un Miradouro, dal quale la vista sull’estuario del Tago lascia senza fiato.

Una breve sosta a casa di Chiara per un caffè ci ricorda che la giornata a Lisbona è finita ed è giunto il momento di riprendere l’automobile (28 euro per parcheggiarla un giorno in centro) e avviarci alla volta di Porto.

Le tre ore di viaggio passano in fretta, anche dato lo scarsissimo traffico (quasi nessun camion) delle autostrade portoghesi. L’ostello che ci aspetta si rivela come sempre bello e pulito, vicino al centro e per fortuna facilmente raggiungibile con l’automobile. Maria Luisa, anche questa volta, riesce a scampare il lumino e si fa ospitare da una sua amica portoghese, conosciuta quando, qualche anno prima, questa aveva vissuto in Italia grazie al Progetto Erasmus.

Viaggio in Portogallo /2 – 10 dicembre 2010

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Nonostante una colazione in ostello non proprio memorabile (tutto autogestito), la seconda giornata del viaggio inizia nel verso giusto con un ottimo caffè espresso al bar Carolla, nella zona universitaria di Coimbra: 60 centesimi a testa, un prezzo mai visto, in particolare in terra straniera.

Coimbra, pur essendo grande all’incirca come Pavia, non offre molto se non la zona universitaria, posta nella parte centrale della città, che domina la restante parte da una lieve altura. Gli edifici dell’ateneo ricordano quelli della Sapienza di Roma: un’estetica fascista, per un cuore di morbido e sano comunismo studentesco.

Dopo il giro del Rettorato in compagnia del sottofondo musicale di Maria Luisa e della sua inseparabile guida Clup, salutiamo l’Università di Coimbra con la visione della Facoltà di Farmacia, che giace abbandonata e piena di erbacce, cinta da un cancello chiuso.

Il giro prosegue nella chiesa del paese, come la tradizione europea vuole. Al suo interno gli altoparlanti usati normalmente per la messa diffondevano una soave musica sacra, forse per incentivare i visitatori a mantenere un religioso silenzio.

A pranzo, ci lanciamo di corsa verso il ristorante che ci ha negato una cena la sera prima, per trovare una coda di cinque persone davanti a noi che durerà quasi un’ora. Nel frattempo a turno andiamo a fare un giro, e io decido di comprare i francobolli per le cartoline. Trovo subito grazie a Navigon un vicino ufficio postale, per scoprire che in Portogallo il concetto stesso di “ufficio postale” è molto strano: trattasi di un piccolo bugigattolo all’interno di una specie di tabaccaio pieno zeppo di gratta-e-vinci, lotterie e scommesse sportive.

Ammazzato il tempo necessario per ottenere il posto, entriamo nel tanto agognato locale e scopriamo il motivo delle code interminabili: l’unica sala del locale, comprendente la cucina, è grande non più di 50 metri e contiene esattamente sei tavoli, per un totale di circa 30 posti. Se poi si considera che è uno dei locali di punta della città, un’ora di attesa risulta quasi dovuta.

La pappa è ovviamente superlativa, a base di carne (i portoghesi mangiano praticamente solo quella) e a prezzi come sempre fuori da ogni abitudine italiana. Alla fine mangiamo con circa 10 euro a testa, esattamente come la sera prima. Per il caffè e la pipì ci affidiamo a un bar poco distante, dove Maria Luisa, non troppo a piombo a causa del vino bevuto al ristorante, riesce a (o crede di) rompere l’asciugamano del bagno, scoppiando successivamente in una risata fragorosa.

Dopo pranzo, si parte per Lisbona, seconda tappa della vacanza. Il viaggio non è lungo, ma estremamente abbioccante, sia per il pranzo luculliano, sia per la voglia di Pocket Coffee instillatami da Maria Luisa: in tutte le aree servizio dove ci siamo fermati abbiamo trovato scaffali pieni di Mon Chéri e Ferrero Rocher, ma di Pocket Coffee nemmeno l’ombra.

All’arrivo ci aspetta Chiara, la cugina di Maria Luisa, studentessa di architettura in Erasmus a Lisbona. La serata procede in un’originale movida portoghese comprensiva di cena multietnica con vari amici di Chiara: una ragazza bulgara, una spagnola, un’italiana e un giappo-brasiliano (ma non ditegli che è giapponese o, peggio, cinese, altrimenti si arrabbia).

Ora si tratta di portare l’automobile in un parcheggio decente (quelli “blu” per strada non permettono il pagamento di più di quattro ore). Senza troppo guardare alla spesa, la abbandoniamo a un parcheggio del centro, in Piazza Figueira, a due passi dal nostro ostello. Questo, oltre a trovarsi in una posizione perfetta per visitare la città, offre una marea di servizi, un luogo accogliente e pulito e, non meno importanti, receptionist davvero attraenti!

Viaggio in Portogallo /1 – 9 dicembre 2010

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Dopo la Norvegia, patria del freddo e delle spese folli, ora tocca il Portogallo, realtà decisamente differente ma pur sempre appealing per trascorrere qualche giorno in compagnia. Anche questa è cambiata: al posto di un maschietto (Mattia), mi terranno compagnia due donzelle (Vale e Maria Luisa).

La partenza da Bergamo, 9 dicembre 2010, assume da subito toni drammatici. L’aereo di Ryanair parte in serata, quando a Bergamo la temperatura è a ridosso dello zero. Montgomery e giacca da sci, però, fanno adeguatamente il loro dovere. Si riveleranno inutili, anzi decisamente di troppo, dopo l’arrivo nel caldo Portogallo, nonostante l’ora tarda: la temperatura media oscillava tra i 10 e i 15 gradi.

L’aeroporto di Porto è moderno, nuovo, e presenta una nazione in cui la situazione globale è ben diversa. Ci buttiamo subito sullo stanzino Hertz, completamente vuoto, dove una voce registrata in una cornetta ci invita ad aspettare il pullman giallo che ci avrebbe portato nella sede (altrettanto gialla) dell’azienda di car rent. Nell’attesa del nostro turno, ci buttiamo subito sulle macchinette di bibite e porcate varie. Io e la Vale ci deliziamo con un Twix, mentre Maria Luisa acquisterà il primo di una lunga serie di latte e cioccolato, scelta forzata a causa della sua celiachia.

Alla fine ci hanno dato una Fiat Punto, alla quale aggiungiamo tutte le assicurazioni possibili. La storia vuole che quando si assicura tutto poi non succede nulla, ma in realtà questa volta il sig. Murphy si è distratto e l’assicurazione si rivelerà di fondamentale importanza.

Nel momento di prendere l’autostrada, scopriamo l’assurdità del sistema di pedaggio: in alcune parti il sistema è identico a quello italiano, il che non ci crea particolari problemi; in altre parti, però, il sistema funziona in un modo che definire “malato” non renderebbe adeguatamente l’idea. Il casello è sostituito da una macchina fotografica, che scatta un’istantanea della targa e segna il pedaggio da pagare. Ventiquattro ore dopo bisogna andare all’Ufficio Postale per pagare il dovuto. Non è dato sapere come i turisti possano pagare l’ultimo giorno di permanenza, non avendo a disposizione un Ufficio Postale portoghese 24 ore dopo l’ultimo viaggio.

Impostiamo dunque il navigatore satellitare verso Coimbra, la nostra prima meta. Arriviamo a destinazione senza alcun problema, anzi decisamente di buon umore dopo aver ascoltato la sensuale voce femminile sintetizzata del Navigon che recita gli improbabili nomi delle strade portoghesi.

L’ostello è molto gradevole e rappresenta solo il primo di una lunga serie di ottime sistemazioni notturne, nonostante il suo aspetto trasandato all’esterno. Dopo esserci sistemati, andiamo verso il centro per cenare in un ristorante consigliato a Maria Luisa da una sua amica. Purtroppo, data l’ora tarda (erano le 23 circa), dobbiamo rinunciare e ripieghiamo verso un locale vicino, dal nome evocativo Aeminium, l’antica denominazione della città. Io e Vale ordiniamo un doppio piatto di carne e verdure, mentre Maria Luisa opta per il pesce. Mentre noi divoriamo le enormi porzioni che caratterizzano la cucina portoghese, un’enorme tavolata di adolescenti domina il rumore del locale. Alcuni di loro si recano in bagno, uscendone strofinandosi il naso. Ma non voglio trarre conclusioni affrettate.

Usciamo soddisfatti e satolli, abbandonando nel ristorante metà delle nostre porzioni.

In ostello Maria Luisa incontra un uomo seminudo nel bagno unisex (decisamente un’anomalia rispetto alla mia esperienza), ma per fortuna questo non sconvolge più di tanto la sua esistenza. A parte le lenzuola all’apparenza ultra-sintetiche e l’assenza del riscaldamento, la notte procede senza ulteriori intoppi.

Alle prime armi

Come già scritto ieri, sono tornato qualche giorno a casa. Dopo aver sostituito l’hard disk del computer dei miei genitori, appena comprato, ho deciso di riprendere in mano vecchi scatoloni polverosi per ripescare i giornalini del mio periodo liceale.

Trattasi di

  • 4 numeri di “Il Luigino Scatenato”, anno scolastico 1996/1997.
  • 2 numeri di “Il nuovo Luigino Scatenato”, anno scolastico 1997/1998.
  • 6 numeri di “Skolaro”, anno scolastico 1999/2000.
  • 7 numeri di “Skolaro”, anno scolastico 2000/2001.

Ci sarebbe anche “Il Fulmine”, giornalino con cui mi dilettavo durante i miei anni alla scuola media, ma penso che tutti i numeri stampati si siano persi nelle pieghe del tempo che passa. A malapena mi ricordo come fossero fatti.

In tutto ben 19 numeri, quindi, per la gran parte dei quali ho seguito tutto il processo: scrittura di alcuni articoli, impaginazione, correzione di bozze, stampa, distribuzione. Se a questi aggiungo i 68 numeri di Inchiostro, relativi al mio periodo universitario e post-universitario (2004/2010), mi faccio quasi paura.

Spero di riuscire a inserire il tutto online durante le vacanze di Natale. Purtroppo i file originali sono andati perduti, per cui dovrete accontentarvi di PDF ricavati dalla scansione dei numeri.

Tante cose, tutte in un giorno, come sempre

Ultimamente sono stato un po’ assente sul mio blog, lo so. Ho tante cose da fare e, soprattutto ultimamente, tante a cui pensare.

Ogni giorno, per ciascuno di noi, è ricco di avvenimenti, scoperte piccole o grandi, rimpianti, casualità. Oggi, ad esempio, ho invitato a pranzo un amico di lunga data che non vedevo da tempo, abbiamo fatto i piccoli nerd e ho scoperto che devo ripensare seriamente al mio dottorato di ricerca, per fare qualcosa di mio. Dovevo addirittura andare a parlare a Milano con il mio docente di riferimento, ma troppe casualità mi hanno fatto propendere a un rinvio: la neve, la chiusura del Dipartimento, la mia partenza per Vallecrosia. Almeno ho tempo per riflettere e prendere una decisione.

Poi oggi ho rivisto un’altra persona ex-pavese ormai fisso in terra straniera, con cui ho trascorso una piacevole ora a parlare di Wikileaks, politica italiana, videogiochi. Chi mi conosce sa benissimo di chi sto parlando. Sulla quesione Wikileaks ho poi trovato un post interessante di Piergiorgio Odifreddi, “Le rivelazioni matematiche di Assange“.

Infine, per ammazzare il tempo nel mio viaggio in treno, mi ha tenuto compagnia un cartone animato di rara bellezza e, soprattutto, profondità, “Mary and Max“. Di produzione australiana, non è stato mai importato in Italia (e quindi nemmeno tradotto), ed è realizzato in stop-motion con pupazzi di plastilina.

Tra poco sarò a casa, dove rilassarmi qualche giorno, in attesa di partire per il Portogallo.

Non una giornata speciale, quindi, di quelle “da film”, ma con la dignità di un giorno da vivere. Come tutti gli altri.

La pubblicazione fa l’uomo ladro

fanelli

Pubblico qui di seguito un’intervista che ho realizzato per Jekyll.

Daniele Fanelli, un passato da giornalista per le pagine di New Scientist e Le Scienze, ora si occupa di sociologia della scienza presso l’Università di Edimburgo. Sarà a Trieste il 25 novembre, in occasione del IX Convegno Nazionale sulla Comunicazione della Scienza, con un intervento dal titolo “Come la scienza fa notizia, e la notizia fa la scienza, in Italia e Gran Bretagna”. In un recente articolo, Fanelli parla di cattiva scienza, e di come a volte i ricercatori “barino” nel presentare i loro risultati. In che senso? E chi sono i più “cattivi”? Glielo abbiamo chiesto.

[audio:http://www.ziorufus.it/wp-content/uploads/2010/11/fanelli.mp3|titles=Intervista a Daniele Fanelli]

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