La televisione che non c’era

Sono ormai quasi 10 anni che non ho la televisione. Dopo la mia dipartita dalla Liguria e lo sbarco nella nebbia pavese, pensavo che una scheda TV per il computer avrebbe fatto le veci della televisione. Invece non ne ho nemmeno mai sentito la necessità e ora giace dimenticata da qualche parte in soffitta.

Un po’ è stata colpa del nuovo ambiente dove mi trovavo – il Collegio – un po’ sicuramente il crollo della qualità dell’offerta televisiva italiana.

Tuttavia, dopo così tanti anni, lunedì sera la televisione un po’ mi è mancata. Ho riparato ieri, quando sono andato sul sito del varietà di Fazio e Saviani, Vieni via con me, e mi sono guardato la trasmissione da lì.

Ecco, in questo momento mi sono venuti in mente i mitici Anni Novanta, quelli in cui la televisione era davvero un mezzo potente, capace di far sorridere, piangere, incazzarsi; e ovviamente trasmettere informazioni utili e “acculturare” un po’ la popolazione.

Per fortuna a nulla è servito l’ostruzionismo della dirigenza Rai, che voleva impedire la realizzazione della trasmissione. “Prendono troppi soldi”, dicevano. Ma si dimenticavano che certe persone fanno spettacoli per mestiere. Il buon Benigni non è un commerciante di frutta che a tempo perso si improvvisa showman. Benigni è uno showman professionista, e come tale va pagato. Ha fatto bene a sottolinare come anche Masi, allora, dovrebbe rinunciare allo stipendio, se davvero la Rai versa economicamente in cattive acque. E se poi si pensa che la tramissione ha avuto picchi di 9 milioni di persone (proprio grazie a quel Benigni che ha lavorato gratis), forse gli incassi superano nettamente le spese. Basti pensare che uno spot pubblicitario in un programma di quel livello può costare fino a 100mila euro.

Vedremo con le prossime puntate, cosa ci riserverà questa nuova coppia di uomini di spettacolo; vedremo se le cose cambieranno ora che – ormai è palese – si torna alle urne; e vedremo se, magari, cambierò idea e andrò a comprarmi uno di quei nuovi televisori per riprendere le vecchie abitudini ormai dimenticate. Come, ad esempio, guardare la televisione e pagare il canone Rai.

Maledette emoticon

C’è stata un’era pre-emoticon, vero?

Me lo chiedo, per un motivo semplice: non me lo ricordo. Le emoticon sono talmente radicate ormai nella mia vita da “tastiera”, che non riesco a ripensare a quando nella precedente vita da “carta e penna” non le usavo. Perché tra l’altro anche nell’odierna vita da “carta e penna” le emoticon la fanno da padrone.

Eppure una volta si riuscivano a esprimere gioia, risate, rabbia, tristezza anche senza faccine. Il risultato era garantito, senza segni di interpunzione messi a caso e senza fraintendimenti.

Ora, per esprimere solo a parole gli stessi sentimenti devo pensarci su, sbatterci la testa, magari senza raggiungere l’obiettivo.

Mi verrebbe da dire: che tristezza; ma forse il messaggio non passerebbe come vorrei. Non bene come in questo modo

🙁

Comunicazione scientifica

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Mi piace scrivere. Davvero. E scrivo di tutto, quando capita. A volte racconti, a volte articoli, a volte post per il blog.

Una delle cose che più amo che che più mi riesce meglio, però, è la divulgazione scientifica: sto seguendo un Master, a riguardo, e ho seguito vari seminari.

Tuttavia, solo un corso mi ha davvero appassionato dalla prima all’ultima lezione, ed è quello di Marco Cagnotti, che da oggi ha ripreso al Collegio Nuovo, tutti i lunedì e martedì sera, dalle 17 alle 19.

Lo consiglio vivamente a chiunque voglia capire come funziona il mondo della divulgazione scientifica, ai futuri giornalisti e anche a tutti coloro che vogliono tappare un buco di tre crediti nel piano di studi in un modo un po’ più divertente del solito.

Info: http://www.lcsd.it

Il patrimonio artistico italiano

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Il crollo della Scuola dei Gladiatori di Pompei non stupisce. In un momento storico per il nostro paese in cui la crisi falcidia migliaia di posti di lavoro e il Governo pensa solo a salvare il premier dai processi, è ovvio che il primo punto dove i fondi vengono tagliati è la cultura. In particolare quella dei restauri delle opere esistenti. L’Italia è una delle nazioni del mondo che, paradossalmente, possiede più patrimonio artistico di qualunque altra ma investe una quantità infima di risorse economiche per tutelarne la conservazione.

Un problema, però, non esiste finché non viene giù qualche pezzo di Pompei 0 finché qualcuno non ne parla seriamente. Se la natura pensa al primo punto senza troppi problemi, il Giornale di Socrate al Caffè, insieme con Studium Artis e con il Comune di Pavia, si occupa del secondo, ovvero parlarne.

In calce allego l’invito di Sisto Capra, direttore responsabile del Giornale di Socrate al Caffè, per un incontro che vuole trattare proprio l’aspetto della conservazione del patrimonio artistico che fa dell’Italia la meta turistica più ambita del pianeta.

Cari amici,
la tutela del patrimonio d’arte è diventato uno dei temi decisivi in un Paese come l’Italia, che è la culla dei tesori artistici, e in una città come Pavia che è tra i gioielli dell’arte e della cultura. È gradito rivolgervi l’invito a partecipare al convegno “Il patrimonio artistico: tutela e valorizzazione”, organizzato dal “Giornale di Socrate al Caffè” e da Studium Artis, con il patrocinio del Comune di Pavia, che si svolgerà presso la sala conferenza Broletto (ingresso da piazza Cavagneria) giovedì 11 novembre alle ore 16,30.

Interverranno:
Domenico Sedini, amministratore delegato della società Studium Artis, specializata nella tutela del patrimonio d’arte;
Gianmarco Centinaio, assessore alla cultura del Comune di Pavia;
Giorgio Forni, assessore alla cultura del Comune di Vigevano;
Susanna Zatti, direttore dei Musei Civici di Pavia;
Gianluca Poldi, fisico ed esperto di diagnostica delle opere d’arte, Università di Bergamo;
Alfonso De Nicola, titolare di “Mondo Assicurativo” di Pavia

Moderatore: Sisto Capra, direttore responsabile de “Il giornale di Socrate al caffè”

Un sabato sera da urlo

Normalmente le persone normali il sabato sera escono, vanno in discoteca, magari si ubriacano, conoscono nuova gente. Io non sono una persona normale.

Torno a casa da una cena con la mia amica Marilù e, innanzi tutto, incontro il mio ex coinquilino Alberto in preda al panico per via della sua nuova lavatrice non compatibile con l’attacco sul muro della casa che ha appena preso in affitto. “No problem”, gli dico, “vieni pure a farla qui”. Almeno l’ho rivisto.

C’è stata anche una piccola parentesi divertente, in cui Alberto mi ha confessato che “di me gli manca il mio modo unico in cui riuscivo a girare la chiave nella serratura”. Ovviamente i doppi sensi si sono sprecati.

Dopo questo piacevole incontro, arriva il momento topico in cui, in piena crisi di “cosa vuoi fare da grande” mi decido a mandare il mio curriculum in giro per il mondo: Google, Facebook, Twitter, Apple, Skype. Quest’ultimo ha un distaccamento a Tallinn, in Estonia, dove additittura arriva Ryanair. Inutile dire che ho fatto richiesta per andare lì.

Volevo provare anche con IBM e Microsoft, ma mi sapevano troppo di incravattati. E a me la cravatta non piace.

Ora attendo il responso.

Update. È arrivato il primo due di picche da Twitter.

Odio profondo

Qualche giorno fa è tornato a Pavia un mio caro amico, ormai fisso a Bruxelles.

Per fare sì che non sentissi troppo la sua mancanza, mi ha tappezzato la camera con gli adesivi del sito internet con il quale collabora e scrive recensione di film, telefilm, videogiochi. Ebbene, uno di quegli stramaledetti adesivi ha perennemente rovinato la mia preziosissima scrivania IKEA.

Ergo, ho deciso di boicottare in saecula saeculorum il sito per cui collabora (che ha un nome inglese che potrebbe essere tradotto con tutto occhi, tutti gli occhi, o qualcosa di simile; ovviamente non lo linko).

(So che questa è una cosa estremamente puerile, ma credo sia paragonabile a spargere adesivi a caso in camera di un amico)

Recensioni di film

Recensioni di videogiochi

Quando riceverò una nuova scrivania impacchettata firmata ever… (ops!), dedicherò un intero post al sito delle robe degli occhi.

One drop

Ingenuamente, per noi acqua vuol dire lavarsi, cucinare, bere. Ma non solo.

L’acqua è il principale ingrediente del nostro corpo, così come della nostra vita “occidentale”. Con l’acqua si annaffiano le piante, si abbeverano gli animali, si producono i computer, si costruiscono ponti e gallerie. L’acqua, ancora oggi, è la sostanza più importante per la nostra vita e il nostro benessere. Senza di essa non ci saremmo.

Nel mondo, miliardi di persone hanno a disposizione meno di cinque litri di acqua al giorno, una miseria se si pensa che un uomo occidentale, tra consumi e vizi, ne utilizza più di 200. Per questo motivo esiste l’associazione One Drop, creata e sponsorizzata dal famoso Cirque du Soleil.

Per aiutarli, non basta (o forse nemmeno è necessario) donare denaro, ma bisogna “comportarsi bene”: non comprare acqua in bottiglie di plastica, usare dei sistemi di riciclo per lo sciacquone del gabinetto, ottimizzare in generale il consumo di acqua per lavarsi e per cucinare.

Solo così si può fare qualcosa di concreto: il futuro comincia dall’acqua.

Il futuro della carta

Riporto qui un interessante articolo sul futuro dei giornali, scritto da Marco Cagnotti per il blog tematico Stukhtra.

“Ah, signora mia, la carta! La carta non morirà mai! Io al piacere del giornale di carta proprio non ci rinuncio. La carta è un’altra cosa!”. Segue, rivolto all’interlocutore, uno sguardo di compatimento nella migliore delle ipotesi e di disgusto nella peggiore: compatimento e disgusto verso i barbari moderni, i seguaci del digitale, ormai incapaci di apprezzare le sane, buone, care vecchie abitudini di una volta. Come la carta, appunto. Brutta gente, quella lì. Gente che legge il giornale (sempre ammesso che lo legga, eh!) sul computer, o perfino sul telefonino, o magari su quei cosi nuovi… come si chiamano?… iPod, iPad, iCoso… insomma quella roba lì. No no no… vuoi mettere il rito quotidiano del giornale davanti a cappuccino e brioche?

Continua…

Bunga bunga

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Ormai può fare quello che vuole, non c’è storia. Egli è l’assiduo giocatore di The Sims che, noioso di stare alle regole, decide di divertirsi. L’ho fatto anche io molte volte (limitatamente a The Sims, aggiungerei “purtroppo”): non fai andare il personaggio al lavoro, lo fai ammalare, gli costruisci dei muri intorno così impazzisce, et cetera.

Egli, però, lo sta facendo con noi. Ne aggiunge ogni giorno una nuova, forse vuole capire quale sia il nostro limite di sopportazione. Sono anche inutili i commenti del tipo: “in un paese civile, si sarebbe già dimesso”. Direi che l’abbiamo già ripetuto troppe volte. Un po’ come il “deve essere processato”, o il sempreverde “va con le minorenni”. Ormail il messaggio che passa è di piantarla di dire sempre le stesse cose, lui è arrivato lì con regolari elezioni, lasciamolo stare.

Sul punto poi delle minorenni, ci sarebbe una disquisizione che io reputo abbastanza interessante: tutti vogliono farsi le sedicenni. Inutile essere ipocriti, è così e basta. E molti (diciamo tutti tranne i gay) preferiscono le ragazze ai gay. Questa affermazione, che fa rabbrividire se letta/sentita/sbandierata da un politico, in realtà è una banalità da bar: dal punto di vista di un eterosessuale, sono meglio le donne dei gay. Cazzo, è come se un gatto dicesse: meglio i topi delle fragole. E va be’, capirai che grande novità. Ecco come conquista. Lui.

Ogni italiano, quindi, vuole essere il premier per quello che può fare: fregare la legge, farsi le minorenni, insultare apertamente i gay. Il cittadino comune, però, non può (a parte insultare i gay). Allora, come un genitore premuroso che non si sente realizzato, spinge affinché il figlio faccia quello che il padre non può fare. E il “nostro” figlio è lui, ce lo siamo addirittura scelto.

Sarebbe interessante se venisse introdotta una legge che proibisce alla ultranovantenni di fare sesso con degli under 90. Magari anche in quel caso il Premier, pur di infrangere le regole, saprebbe come stupirci.

Il teorema del gatto

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Ogni giorno il mio gatto si mette sulla sedia sbagliata. Non quella col cuscino rosso, dedicata a lui, ma su una di quelle con il cuscino blu. Nemmeno sempre la stessa, tra l’altro. Io allora cosa faccio? Lo scaravento in quasi-malomodo sul suo giaciglio dalle sfumature scarlatte (che poesia, eh?) e lui riprende a dormire.

Non so perché sia così stupido: se si mettesse subito al suo posto, nessuno gli romperebbe le scatole. E invece continua a preferire il capezzale pervinca (e qui l’epica giunge all’apice, con un’allitterazione da Nobel).

Forse lo fa perché preferisce il blu, oppure perché ha la memoria breve. O, semplicemente, è una stramaledetta testa di cazzo. In effetti tutte le prove raccolte portano a quest’ultima opzione.

Ci rimugino un po’, e concludo che questo tipo di problemi appartengano solamente al regno animale.

Appagato dall’incredibile deduzione, decido di andare a letto. Prima di addormentarmi, leggo l’ultimo numero di Inchiostro, e a questo punto ripenso al gatto. Ripenso al suo continuo errore, ripetuto all’infinito. E ripenso a quando la redazione di Inchiostro era formata da gente che sbagliava, certo, ma una volta sola. Insomma: errare è umano, perseverare è diabolico.

Ogni volta ci ricasco, e mi illudo. Chiudo gli occhi, prendo il giornale, ne assaporo con l’olfatto l’inchiostro (minuscolo), riapro gli occhi e inizio a leggere. “Questa volta”,  penso, “sarà diverso”. Ma mi sbaglio.

Finché si tratta di apostrofi al posto di accenti, spaziature sbagliate dei segni di punteggiatura, titoli tutti uguali, posso sopportare. Ma una frase come “Inchiostro è sempre alla ricerca ad ogni tipo di collaborazione”, quella sì, mi fa rabbrividire. Poi però mi consolo, nel vedere un altro errore più avanti nel medesimo testo: per una beffa del destino, suona come una autoammissione.

“Abbiamo bisogno di competenze come giornalisti, blogger, impaginatori, …”.

Sì, come giornalisti avete proprio bisogno di competenze.

PS. Da questo post può sembrare che io stia facendo di tutta l’erba un fascio, ma non è così: all’interno della redazione di Inchiostro sono presenti persone che stimo moltissimo, pure come futuri giornalisti. Il problema è che, quando in un’automobile manca il conducente, l’aria condizionata è inutile.