Viaggio nell’est Europa /3 – Riga (Lettonia)

Come per il volo Milano-Riga, anche per la seconda tappa per Stoccolma ho scelto l’aeroporto lettone per viaggare (3 euro contro 100 fanno cambiare idea). Dato poi che l’aeroporto di Vilnius è grande all’incirca quanto la stazione ferroviaria di Pavia, la scelta non fa che pendere ulteriormente verso Riga.

Viaggio per viaggio, ho preso il bus da Vilnius al mattino nonostante il mio aereo partisse alle 22, in modo da trascorrere una buona mezza giornata nella capitale lettone.

Il viaggio in pullman non è stato confortevole come all’andata (niente internet, questa volta, a causa del cambio di compagnia per incastrare gli orari), ma è trascorso comunque in fretta e senza intoppi. Solito controllo a tappeto tra Lituania e Lettonia, ma arrivo ampiamente in time alla stazione di Riga.

Il centro della cittadina è molto simile a quello della sorella lituana Vilnius, benché si percepisca una ricchezza maggiore (o una povertà minore, a seconda dei punti di vista). Delle due “metropoli”, direi che Riga ha un aspetto decisamente più occidentale, con un centro dominato da grandi marche e centri commerciali in netta contrapposizione con il mondo comunista che ha dominato queste regioni fino a pochi anni fa.

La differenza dal resto dell’Europa, però, si sente ancora nei prezzi dei beni di prima necessità, ancora in linea con l’epoca della lira, il che mi fa pensare che le mie teorie sull’aumento dei prezzi causato dall’entrata in vigore dell’Euro non fossero poi delle immense stupidaggini. Il costo del cibo è di molto inferiore a quello dell’Italia, mentre i prezzi di servizi e beni resta in linea con quelli cui sono abituato.

D’altronde, qualunque commerciante avrebbe reagito all’entrata in vigore dell’Euro in questo modo:

  • L’introduzione di una nuova valuta innanzi tutto permette ai più furbi di praticare conversioni “creative” dalla moneta locale a quella nuova.
  • I governi stessi fanno fatica a controllare l’aumento dei prezzi.
  • I beni che costano meno e che non sono “statalizzati”, il cibo in testa, è la prima cosa che tende a salire. I servizi, come corrente elettrica e biglietti dei treni, difficilmente riuscirebbero a salire senza dare nell’occhio, mentre per il cibo, bene a basso costo ma indispensabile, passare inosservato riesce paradossalmente più semplice.
  • In Italia, poi, abbiamo avuto un cambio nettamente sfavorevole, per cui quello che prima costava 2.000 lire è diventato 1,03 euro, troppo scomodo per i resti e i calcoli, ma ugualmente troppo sconveniente per diventare 1 euro. Per questo motivo è balzato immediatamente a 1,50 euro; il salto a 2 (e quindi di fatto a un raddoppio) era solo questione di tempo.
  • Discorso diverso invece per i servizi e i beni importati, in quanto più gestibili, più controllati e soprattutto più confrontabili con le nazioni adiacenti (che non hanno avuto un cambio altrettanto fatalmente sfavorevole).

Esempi pratici.

  • Tre the + torta + pasticcino in centro a Riga: circa 3 euro. Meno della metà dell’Italia.
  • Maglietta in un centro commerciale: circa 10 euro. Come in Italia.
  • Cuffie In-Ear prodotte da Bose: 99 euro. Identico all’Italia.
  • Cena in ristorante nella Piazza Centrale della Capitale, pesce con verdure: 12 euro. Molto meno che in Italia.

Merita una nota il parco della città, curato fin nei minimi particolari.

Dopo la cena, si parte in bus per l’aeroporto di Riga. Prossima tappa: Stoccolma.

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Viaggio nell’est Europa /2 – Vilnius (Lituania)

Superati i palazzoni, mi ritrovo nel centro della capitale. Ogni simbolo che può ricondurre alla dominazione sovietica è ormai scomparso, per far posto alla cultura occidentale che ha preso il sopravvento: centri commerciali, negozi di elettronica, banche.

Su quest’ultimo punto una riflessione è d’obbligo: le banche sono quasi esclusivamente straniere, in gran parte svedesi. Al momento dell’indipendenza la nazione non si è trovata pronta per l’ingresso nel capitalismo, per cui la situazione è sfuggita di mano a favore della moneta straniera. La casa dove ero ospitato si trovava a 100 metri da una filiale lituana di Unicredit.

Al centro della città sorge il castello, costruito nel 1400, da cui si può salire nell’unica torre rimasta in piedi, per gran parte ricostruita in tempi recenti. Il resto del castello (così come parte della torre) è stato pesantemente danneggiato durante le due Guerre Mondiali.

Dalla torre si può gustare una notevole veduta del paesaggio circostante; parlo di paesaggio perché definire Vilnius una città non è del tutto veritiero. Le aree verdi sono decisamente più evidenti delle parti costruite. Salta all’occhio solamente la zona nuova, costruita dopo la riconquista dell’indipendenza: nei suoi grattacieli si cela la “stanza dei bottoni” lituana.

Mi ha graziato il clima, stranamente favorevole considerando le temperature medie del periodo. Se nel periodo primaverile si riesce a gironzolare con felpa e giacca, in inverno il termometro non si fa troppi problemi a scendere sotto i -10 gradi, difficili da sopportare per un italiano sotto qualunque giaccone. Ma non per le Babushke, letteralmente nonne, termine con cui lo straniero solitamente denota le anziane signore che vendono nelle vie del centro calzettoni e altri invernalissimi indumenti fatti a mano.

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Viaggio nell’est Europa /1 – Vilnius (Lituania)

Si fa presto a dire “nulla die sine linea” per poi stare zitti una settimana. Tuttavia la mia assenza è giustificata da un viaggio che mi ha portato a visitare tre paesi in cui non ero mai stato: Lituania, Lettonia e Svezia.

In realtà la tappa in Lettonia non era prevista, ma la corsa al risparmio ha fatto diventare Riga (la capitale) una tappa obbligatoria per via delle rotte aeree: arrivare direttamente a Vilnius sarebbe stato economicamente improponibile, visto che la Lituania è attualmente priva di linee low-cost.

Per raggiungere la capitale lituana, quindi, ho deciso di utilizzare il servizio di autobus che fa da spola tra Riga e Vilnius, 300 km in circa 5 ore. Il mezzo, estremamente comodo e dotato di tutti i comfort “standard”, permetteva addirittura ai viaggiatori di collegarsi a internet tramite una rete wireless interna, basata sulle reti cellulari lettoni e lituane. In Italia un servizio del genere sarebbe totalmente illegale, in quanto le norme in vigore nel nostro paese impongono al detentore del collegamento il censimento di tutte le persone che usufruiscono del servizio. L’ultima assegnazione dei Big Brother Awards italiani ha centrato il problema pluripremiando Gabriella Carlucci.

La questione della libertà della rete si ripresenta per tutta la mia permanenza nella capitale lituana: nella maggior parte dei bar e dei locali pubblici l’accesso a internet è gratuito per chiunque, senza bisogno di registrazione né password. Il bisogno di libertà della popolazione può essere una reazione inconsapevole al regime comunista sovietico che ha sottomesso le regioni baltiche dal 1940 letteralmente spartendosi l’est Europa con la germania Nazista attraverso il celebre patto di non belligeranza Molotov-Ribbentrop.

L’impronta sovietica, ormai quasi annientata dal centro della città, torna come un’ombra nei degradati quartieri periferici pieni di palazzoni in cemento armato tipici dell’iconografia della dominazione precedente.

[continua…]

Il Pungolo

Quando a metà febbraio l’avvocato Mills venne condannato a 4 anni e 6 mesi per corruzione, Veltroni fece l’abile mossa politica di occupare le prime pagine dei giornali dimettendosi da Segretario del Partito Democratico. Da una parte la notizia della condanna di Mills è passata in secondo piano, ma almeno ci siamo liberati di Veltroni…

Dario, hai sentito? Ci sono stati risvolti sul caso Mills, va bene lo stesso?

Siamo andati sulla Luna

Venerdì scorso sono stato invitato da Marco Cagnotti, giornalista svizzero del Corriere del Ticino, ad una conferenza organizzata, tra gli altri, anche da lui, il cui titolo era “L’eredità dell’Apollo 11 e il futuro umano nello spazio”. Il relatore, Luciano Anselmo, ricercatore presso il CNR di Pisa, è riuscito in due ore a mantenere alta l’attenzione del pubblico parlando della storia dell’esplorazione umana dello spazio e della passione che decine di migliaia di persone hanno messo in quest’avventura rendendo possibile ciò che da sempre era considerato impensabile.

In particolare, alcuni aspetti della conferenza hanno catturato la mia attenzione.

  • Le motivazioni che hanno spinto gli americani ad intraprendere questa colossale avventura.
    Alla fine degli anni cinquanta, i veri mattatori dello spazio erano i Russi. Loro hanno mandato la prima sonda nello spazio, loro hanno inviato il primo essere vivente nello spazio (la cagnetta Laika), loro hanno inviato il primo uomo nello spazio. Proprio per quest’ultimo motivo, capitato nell’aprile del 1962, in un periodo critico per la storia americana (la CIA stava cercando di ribaltare senza successo il governo di Castro a Cuba), il Presidente Kennedy in un suo celebre discorso annuncia che entro la fine del decennio un americano sarebbe arrivato sulla Luna, vi avrebbe messo piede e sarebbe ritornato incolume sulla Terra. Il discorso racchiudeva tre punti chiave: la distanza temporale relativamente breve entro cui compiere la missione, la scelta del nostro satellite come obiettivo, l’idea che gli astronauti sarebbero dovuti ritornare sani e salvi a Terra. Le parole di Kennedy si sono avverate nel 1969, il 20 luglio, davanti a 600 milioni di persone sparse in tutto il pianeta.
  • Perché dopo la missione Apollo (1961-1972) non siamo più tornati a passeggiare sulla Luna?
    Semplice: non ci sono i soldi. L’idea di un allunaggio con successiva passeggiata non era altro che una mossa pubblicitaria del governo americano. Nessuno l’aveva mai fatto, benché se ne parlasse da migliaia di anni. Inoltre la scelta di questo obiettivo metteva gli Stati Uniti, scientificamente indietro ma con un potenziale economico pressoché illimitato, in grado di competere con i Russi. Qualunque altra missione “intermedia” scelta da Kennedy sarebbe stata comunque troppo alla portata degli avversari. Sparare in alto era l’unico mezzo per partire ad armi pari. Ora l’obiettivo è raggiunto e, come tale, si è compreso appieno quanto scientificamente sia stato inutile, per cui ulteriormente inutile rimane ripetere l’esperienza. Inoltre, ed è un motivo non di secondaria importanza, i 40 anni che ci dividono da quell’epoca ha inevitabilmente azzerato il know-how scientifico necessario. Per poter ripetere l’esperienza sarebbero necessari probabilmente gli stessi soldi e lo stesso tempo impiegati negli anni Sessanta.
  • Cosa ci ha lasciato la missione Apollo?
    Da un punto di vista strettamente scientifico, nulla di più di quello che anni dopo ci hanno lasciato i robottini spediti in giro per il nostro satellite. Da un punto di vista prettamente umano, invece, ha permesso all’uomo di superare le barriere del logico e del possibile, dimostrando in maniera assolutamente lapalissiana che “volere è potere”. Non è però solamente una questione economica: la missione Apollo per mandare l’uomo sulla Luna è stato forse il primo evento che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone le quali, come viti e bulloni di una macchina incredibilmente complessa, è riuscita in un intento nobile e impensabile fino a qualche anno prima.

Peccato è, però, pensare che tutta la conoscenza acquisita sia in gran parte irrecuperabile. Anche la tecnologia necessaria per costruire gli Space Shuttle (gli Stati Uniti ne possiedono ancora tre) sta rischiando grosso, a causa degli enormi tagli che i vari governi stanno facendo per i progetti spaziali. Credo tuttavia che sia giusto così: l’esplorazione del nostro Universo deve rimanere un “vizio”, un passatempo in cui, sì, investire tempo e denaro, ma senza dimenticare che esistono ancora adesso necessità e situazioni di assoluto degrato e di qualità della vita troppo bassi perché possiamo essere davvero orgogliosi di aver messo piede sulla Luna.Per coloro interessati alla visione della conferenza, segnalo il link della pagina di Paolo Attivissimo su Youtube dove sono inclusi tutti gli spezzoni dell’incontro.

La mediocrità al potere

Per questo post volevo cercare un titolo divertente, ma sono talmente schifato dalla politica italiana che qualunque tipo di divertimento sarebbe stato fuori luogo. Riporto di seguito una lettera che ho inviato a Gabriella Carlucci, deputato del Popolo delle Libertà nel Parlamento Italiano.

On. Gabriella Carlucci,
sono un programmatore informatico di 25 anni e Le scrivo per esprimere il mio sdegno nei confronti di alcuni Suoi articoli pubblicati sul blog http://www.gabriellacarlucci.it. In particolare mi riferisco al post del 19 dicembre 2008, in cui sostiene che scaricare film e musica da internet sia più costoso che acquistarli. Non solo la Sua tesi è palesemente falsa, ma a mio parere il ragionamento per giungere alla conclusione è totalmente privo di fondamento. Secondo la Sua ricostruzione, chi scarica musica e film da internet utilizza il pc, la connessione internet e la corrente elettrica per fare solamente quello. Inoltre, secondo il Suo ragionamento comprare legittimamente musica da internet utilizzando iTunes sarebbe anti economico: oltre a spendere le esorbitanti cifre che Lei snocciola nel suo articolo, bisogna aggiungere la spesa per l’acquisto del brano. Da cui si deduce che conviene scaricarlo illegalmente. Incredibile come si possa giocare con i numeri, no? Sempre secondo il Suo ragionamento, bisognerebbe poi aggiungere a favore del noleggio il costo dell’attrezzatura. Per scaricare da internet ho bisogno di pc, connessione, ecc. e per vedere il DVD noleggiato no? Ho sicuramente bisogno di un televisore (800 euro), un lettore DVD (100 euro) e magari un buon impianto stereo (1000 euro).

Certo, di molte di queste cose si può fare a meno, ma è possibile privarsi anche di un pc da 1000 euro, visto che per scaricare musica e film da internet è sufficiente un vecchio scatolotto di qualche anno fa con un hard disk capiente, il tutto reperibile senza problemi a meno di 200 euro.

Trovare scappatoie inutili per convincere la popolazione non porterà alcun risultato: un conto è la legge, l’altro è trovare scappatoie per evitare di applicarla. L’unico modo per rimettere in piedi un mercato florido della discografia è abbassare drasticamente i prezzi di musica e film. In questo secondo caso, ad esempio, il divario tra prezzo e valore è enorme. Mi spiego meglio. Vado spesso al cinema, amo andare al cinema, spendo i miei 7 euro per andare al cinema. Questo perché il cinema offre vantaggi e spettacolarità che il film scaricato (o noleggiato, certo!) non offrirà mai. Infatti il mercato del cinema è stato intaccato solo marginalmente dal fenomeno della pirateria. Inoltre, secondo quanto leggo regolarmente sui giornali, una volta che il film esce dalle sale cinematografiche per dirigersi al mercato domestico, ha già incassato più di quanto sia stato speso per produrlo. Perché quindi vendere un DVD del costo di 15 centesimi a prezzi esorbitanti come 20 euro? Si capisce bene che la sproporzione è notevole.

Un ragionamento analogo può essere fatto per il mercato della musica. Esce un disco, l’autore prepara il tour, le radio ci bombardano della nuova hit. Se si sommano gli incassi per i diritti e quelli dei concerti, si copre abbondantemente il costo di produzione del CD, che quindi può essere venduto a prezzi infinitamente inferiori a quelli attuali.

La soluzione non è far soldi sul supporto fine a se stesso: quell’epoca è finita. L’incasso lo farà il valore aggiunto: la proiezione al cinema, il gadget, i diritti di riproduzione in radio e in televisione, i concerti live. Tutto il resto è una guerra persa, e sono convinto il tempo mi darà ragione.

Saluti
Alessio Palmero Aprosio

A che cosa serve votare?

Ieri mi ha lasciato perplesso, e anche con l’amaro in bocca, l’affermazione del Segretario del Partito Democratico, Dario Franceschini, rispetto agli elettori dell’Italia dei Valori: “Quello per Di Pietro è un voto inutile”, “non è un progetto”, “è un voto di protesta”.

Il livello a cui il Partito Democratico si sta abbassando è molto, troppo simile a quello di Berlusconi. Quest’ultimo insulta(va) i comunisti e considera(va) “cretino” l’elettore di sinistra. E se per sinistra si intende il Partito Democratico, forse il buon Silvio nemmeno si sbagliava…

L’affermazione di Franceschini non fa altro che confermare le mie scelte di voto, sia per l’operato dell’Italia dei Valori per quanto è in suo potere con una manciata di parlamentari, sia perché il Partito Democratico sta tentando senza riuscirci di emulare il successo della controparte, distorcendo cioè le informazioni al fine di mettere in cattiva luce gli avversari. Per utilizzare una metafora economica riguardo all’alleanza PD-IdV, la prima parte è la bad company, la seconda la good company. L’una combatte diffamando l’avversario, l’altra difendendo le proprie posizioni (giuste o sbagliate che siano, non è questo il punto).

Fermo restando ciò che ho appena scritto, non nego la veridicità dell’affermazione di Franceschini: può essere che il voto a Di Pietro sia semplicemente una sorta di protesta. Ma è proprio per questo che lo si vota. Se un supermercato A vendesse da sempre un prodotto scadente e gli nascesse a fianco un supermercato B con un prodotto migliore, la gente potrebbe andare da quest’ultimo per due motivi:

  1. Perché preferisce il prodotto migliore.
  2. Perché, pur essendo affezionata al supermercato A, vuole dare un segnale forte per incentivarlo al miglioramento.

Ora, quale sarebbe la migliore strategia del supermercato A? Diffamare il supermercato B accusando gli utenti di preferirlo per protesta, oppure cercare di rimboccarsi le maniche e recuperare i clienti perduti?

Nulla dies sine linea

“Nemmeno un giorno senza linea”, ovvero mai permettere a una giornata di trascorrere per intero, senza averle dedicato almeno una riga.

Sarebbe stata una buona filosofia, se non fosse che come sempre il tempo scarseggia. Tuttavia, se voglio davvero cambiare il destino della mia vita e fare della scrittura una professione, l’allenamento è fondamentale.

Voglio quindi fare una promessa, ai miei venticinque lettori, al mio blog e a me stesso: raccogliere i commenti, le conoscenze informatiche e tutto quello che mi passa per la testa per raggiungere l’obiettivo – ambizioso se associato alla pigrizia che mi contraddistingue – di pubblicare cinque post a settimana. Con il proposito a lungo termine di rendere questo blog di pubblicazione quotidiana.

Per non “fregare” il mio lettore, inserendo questo articolo tra i cinque che mi sono ripromesso, oggi ne dedicherò un secondo al commento personale su una vicenda di politica italiana che mi rende sempre più convinto delle mie scelte.

Un server web completo su Mac Os X

Oggi post “tecnico”. D’altronde, dopo una serie di articoli di satira e politica e dopo un bel po’ di giorni di assenza, meglio rientrare nei ranghi con qualcosa di inutile per il 90% dei miei lettori.

Ispirato da questo articolo, spero di riuscire a spiegare al mondo come configurare e installare un server web su Mac Os X, completo di php, mysql, pear, librerie gd e quant’altro.

Innanzi tutto bisogna dire che casa Apple rende la vita piuttosto facile a chi ha voglia di usare php a “sbattimento zero”: il server web Apache2 e php 5 sono già installati di serie nel sistema operativo.

Attivazione di Apache

Attivare il server web è piuttosto semplice. Clic sulla mela in alto a sinistra, “Preferenze di sistema…”, “Condivisione”, attivare il flag in “Condivisione web”. Per testarne il funzionamento si può aprire un qualunque browser web e digitare “localhost” nell’indirizzo. Se compare una finestra di benvenuto di Apache significa che tutto è andato a buon fine.

Per utilizzare php abbiamo due opzioni: attivare la versione già compresa in Mac Os X (rinunciando però alle librerie GD per la gestione delle immagini) oppure installarlo ex novo con l’aiuto dell’installer di Marc Liyanage.

Attivazione di php built-in con Mac Os X

Anche se installato, purtroppo php non è automaticamente attivato, ma necessita di una piccola modifica ai file di configurazione di Apache. Aprire un terminale (Applicazioni – Utility – Terminale) e digitare

sudo nano /etc/apache2/httpd.conf

Dopo aver inserito la password del vostro utente, comparirà un’editor testuale utilizzabile come un blocco note. Premere Ctrl+W per cercare del testo, digitare “php” seguito dal tasto Invio. Il cursore dovrebbe fermarsi sulla riga

#LoadModule php5_module libexec/apache2/libphp5.so

da cui dobbiamo togliere il carattere cancelletto (#) che la precede. Per fare questo possiamo digitare Ctrl+A per spostarci all’inizio della riga e poi Fn+Backspace (l’equivalente del Canc delle tastiere complete, misteriosamente non troppo sponsorizzato da Apple nei nuovi modelli di MacBook). Salvare quindi il file premendo Ctrl+X, seguito da “y” per confermare e infine Invio.

Installazione da zero

Per i più esperti e vogliosi di funzionalità (e di modernità, visto che la versione di php installata di default è piuttosto datata), riporto un tutorial di Marc Liyanage reperibile su questo sito.

Attenzione! Per poter funzionare, questa versione richiede necessariamente che non sia stato attivato il php incluso in Mac Os X (vedi punto precedente).

Scaricare dunque php dal sito di Marc oppure cliccando qui (conviene comunque fare un saltino sul sito perché la versione linkata da me potrebbe risultare datata nel prossimo futuro). Trattasi di un file pkg eseguibile e installabile con una procedura tipica dei programmi Mac.

Testare l’installazione

Per verificare che php è installato correttamente occorre creare un nuovo file nella cartella Macintosh HD – Libreria – WebServer – Documents e dargli estensione php, ad esempio “prova.php”. Aprite il file con un qualunque editor di testo (consiglio TextMate per questo tipo di operazioni, così la sintassi viene colorata risultando più chiara) e digitate

<?php phpinfo(); ?>

Salvate il file, tornate sul browser dove avete già testato Apache e digitate “localhost/prova.php”. Dovreste vedere la schermata di informazioni di php. Se ciò non accade, è necessario riavviare Apache digitando sudo apachectl restart nel Terminale.

Installare mysql

Per installare il popolare database firmato Sun (ormai parte del pesce più grosso Oracle), andate sul sito del produttore, cliccate Downloads – Download Mysql Community Server – Mac OS X (package format) e cliccate sul “Pick a mirror” relativo alla vostra architettura. Probabilmente Mac OS X 10.5 (x86_64) andrà bene.

Nella schermata successiva vi viene chiesto di registrarvi, ma con il link in basso “No thanks, just take me to the downloads!” vi risparmiate le fatica. Cliccate sul mirror che vi consiglia e scaricate il dmg del database server.

L’installazione di quest’ultimo è nuovamente piuttosto banale. Oltre al readme, ci sono tre file, da installare nel seguente ordine:

  • mysql-5.1.34-osx10.5-x86_64.pkg
  • MySQL.prefPane
  • MySQLStartupItem.pkg

Durante l’installazione del secondo, ricordatevi di premere “Start MySQL Server”. Se appare la scritta verde “running” significa che è tutto a posto.

Configurare php e mysql

Se avete installato php dal tutorial di Marc, non c’è nulla da fare, altrimenti occorre tornare nel Terminale e “smanettare” i file di configurazione di php.

Digitate sudo nano /etc/php.ini e cercate (Ctrl+W) la stringa “mysql.default_socket”. Dovete trasformare la riga mysql.default_socket = in mysql.default_socket = /tmp/mysql.sock. Salvate quindi nuovamente con Ctrl+X, “y” e Invio.

Testare mysql

Ora non resta che testare mysql. Per fare ciò potete tornare sul file di prova di prima e sostituirne il contenuto con

<?php mysql_connect("localhost", "root", ""); ?>

Se tornando sul browser alla pagina “localhost/prova.php” non vedete nulla, significa che il database funziona. Se così non dovesse essere, prima di cedere alla rabbia o alla rassegnazione provate a riavviare nuovamente Apache con il comando sudo apachectl restart.

Una volta a posto, consiglio di cambiare la password di root di mysql andando nel Terminale e digitando

sudo /usr/local/mysql/bin/mysqladmin -u root password newpass

sostituendo newpass con la nuova password.