Le guerre dei numeri

Numeri

No, non è niente di matematico, state tranquilli. Però è indubbio che in questi giorni i numeri la stanno facendo da padrone.

Si parla di numeri alle elezioni per il sindaco di Roma, una doccia fredda per il neonato Partito Democratico che si è trovato a perdere un municipio storicamente suo, prendendo meno voti rispetto al primo turno. Sarà la solita conferma che il governo Prodi poteva, e doveva, fare di più. Pliz… visit… auar… cauntri.

Si parla di numeri nei post di Beppe Grillo sul V2-day. Eravamo 120mila, ma la piazza ne può contenere 40mila. Facciamo un buon 70mila e non se ne parli più. Detto questo, non c’è bisogno che Beppe insista sulla sua posizione, così come non c’è bisogno, da parte dell’Unità, continuare a “boicottare” l’iniziativa del comico genovese.

Stesso discorso per le firme: il blog di Grillo dice che “le firme raccolte complessivamente per i tre referendum sono circa 1.500.000”. Un modo come un altro per far passare il messaggio che abbiano firmato un milione e mezzo di persone, mentre sono “solo” 500mila, ognuna delle quali ha lasciato tre autografi. Aggiungo poi, caro Beppe, che se davvero i banchetti rimarranno “aperti” per tutto maggio, mi viene un dubbio: non è che le 500mila firme (quelle necessarie per un referendum) siano un’arrotondamento per eccesso della realtà. D’altronde il numero previsto per legge è davvero alto, quindi non ci sarebbe nulla di cui vergognarsi. Ma tant’è: vedremo come va a finire, visto che comunque continuo a condividere le motivazioni dei tre referendum (colgo l’occasione per invitare tutti coloro che non l’hanno fatto a contattare il Meetup locale di Grillo per aggiungersi ai 500mila).

Un’ultima critica per Beppe e poi vado a nanna.

Caro Beppe, tutti sappiamo che è materialmente impossibile gestire da soli un blog come il tuo, in cui ogni giorno inserisci qualcosa di nuovo e interessante. Ma dovresti stare più attento ai tuoi collaboratori, perché negli ultimi due post [1] [2] ci sono altrettante frasi in cui parli di te in terza persona (“A luglio 2008 Beppe Grillo consegnerà le firme alla Corte di Cassazione”; “perché 120.000 persone hanno ascoltato per sei ore in piedi sotto un caldo estivo […] anche Beppe Grillo”). Insomma, mi sembra un po’ eccessivo, dai…

V2-day

V2-day

Ieri, come ormai pronosticato da diversi mesi, c’è stato il V2-day. E, come già anticipato su questo blog, io c’ero. Posso presentare come prova addirittura una foto apparsa sul sito de “Il Giornale”.

La giornata era splendida, il caldo quasi insopportabile e la gente tantissima (credo che Grillo abbia decuplicato il numero di persone dell’altra piazza, che festeggiavano la Liberazione). Tra gli ospiti: Er Piotta, Marco Travaglio, Natalino Balasso, professori vari ed eventuali da ogni parte del mondo, rappresentanti di organizzazioni italiane – e non – seguite dal comico genovese.

Per firmare ho fatto quasi un’ora di coda, ma ne valeva la pena (anche perché “Il Giornale” mi ha fatto al foto proprio in quel momento, ih ih). La piazza era gremita da un numero di persone che non so stimare da solo: secondo gli organizzatori erano 120 mila, secondo la Questura 40 mila. Credo che 60/70 mila possa essere un numero adeguato.

Ma passiamo al tema della manifestazione: l’informazione. A tale proposito ho appena letto, sconcertato, come i principali quotidiani nelle loro edizioni online hanno dato la notizia. La maglia nera spetta all’Unità, una delle testate particolarmente prese di mira dallo spettacolo di Grillo.

Segnerò alcuni punti che secondo me sono importanti nella stesura di un articolo e darò un giudizio alle varie testate. Alcuni punti sono i seguenti:

  1. È stato detto che nell’altra piazza c’era molta meno gente.
  2. Sono state date entrambe le stime sulla partecipazione, come peraltro accade usualmente per le manifestazioni.
  3. Viene detto che le firme sono state raccolte in 450 piazze in tutta Italia (e alcune nel mondo).
  4. Vengono confermate/smentite le informazioni che Grillo ha dato durante il suo spettacolo.
  5. La testata ha dedicato più di un articolo all’evento.
  6. L’articolo spiega le motivazioni della raccolta firme.

Repubblica

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. La testata diretta da Ezio Mauro ha dato molto spazio a immagini e video, senza però soffermarsi sulle motivazioni dell’evento e sulla raccolta delle firme. Gli interventi di Grillo sono stati inseriti tra virgolette senza alcun commento o smentita da parte del giornalista che ha scritto l’articolo. Molto completa e dettagliata l’edizione locale di Torino. Voto: 6,5.

Corriere della Sera

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Decisamente più completo del suo “rivale” più accanito. Ha dedicato ampio spazio e vari articoli alla manifestazione, senza però soffermarsi sulle argomentazioni di Grillo. Voto: 7.

La Stampa

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Poco spazio, nonostante il quotidiano abbia sede a 100 metri dalla piazza dove si è svolta la manifestazione. A suo favore gioca il ruolo di new entry tra le testate online “sulla notizia”. Voto: 6.

Il Giornale

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Paradossalmente, il quotidiano di casa Berlusconi (duramente criticato da Grillo) ha dato pochi giudizi di merito sull’evento e ha dedicato un articolo di ampio respiro con spiegazioni, anche se prese a prestito dalle parole del comico, sui tre referendum. Voto: 7,5.

L’Unità

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Il quotidiano del centro sinistra si è rivelato peggio di quanto mi sarei aspettato, titolando addirittura “Grillo straparla” l’articolo dedicato alla manifestazione. Certo è che il comico genovese ha citato più volte L’Unità, in particolare per la questione dei finanziamenti statali all’editoria, ma la verità fa male. Nell’articolo: pochi dati, poche spiegazioni, frasi forti contro Grillo. Nonostante l’intervento molto interessante di Marco Travaglio all’evento, il giornale per cui quest’ultimo regolarmente scrive non sembra avere apprezzato. Voto: 4.

Errata corrige

Articolo del Corriere

Ieri sul Corriere della Sera Lombardia è stato pubblicato un articolo di Giuseppe Spatola riguardante “Inchiostro”. Mezza pagina del più importante quotidiano del nostro paese non sono male.

Non sarebbero male, se non fosse che rappresentano il peggior esempio di giornalismo che mi sia capitato sott’occhio (non volendo coinvolgere Inchisotro nella bagarre, faccio presente che parlo a nome mio).

Durante il pomeriggio del 21 aprile, Alessio Pappagallo e Alberto Bianchi (il direttore) si sono recati nella redazione di Inchiostro. La fotografa del Corriere li ha raggiunti e il giornalista li ha chiamati, intervistandoli per una decina di minuti. Non so se la conversazione è stata registrata, né se Giuseppe Spatola ha preso appunti. Solo la mancanza di entrambe le “precauzioni” giustificherebbe l’articolo (ma non la superficialità del giornalista).

Ecco alcune perle.

  • Il direttore [di Inchiostro] resta in carica fino alla laurea, come vuole la tradizione.
    Quale tradizione? E poi quale laurea? Triennale? Magistrale?
  • Inchiostro ha partecipato al festival della letteratura.
    Forse era il Festival del Giornalismo di Perugia, ma si sa che in Italia il giornalismo è pura invenzione creativa, quindi paragonabile alla letteratura.
  • Il primo numero uscì nel 1995 sotto la direzione di Marzio Remus.
    Va bene che Remus non era proprio un giovincello, ma nel 1995 aveva solo 22 anni. Cazzo! In teoria è possibile… e poi l’ha diretto fino alla laurea (la seconda), nel 2006?
  • Poi il comando passò a una donna, Luna Orlando.
    Qui l’errore è cronologico: prima c’è Luna Orlando, poi Marzio Remus. Da notare come Luna Orlando non abbia diretto il giornale fino alla laurea, come vorrebbe la “tradizione”.
  • Tre direttori in 13 anni sono un record positivo.
    Azz, tre direttori in 13 anni? Nemmeno Fidel Castro…
  • Stampiamo 110 numeri l’anno.
    Un mensile sui generis, quasi quotidiano. Questo è palesemente un errore di stampa, quindi “perdonabile”.
  • Alessio Pappagallo, collaboratore delle pagine politiche.
    Inchiostro non ha pagine politiche. Basta leggerlo per capirlo…

Segue un intervento del Rettore, virgolettato, quindi senza invenzioni dell’autore dell’articolo.

Al di là delle battute che mi sono permesso di fare, segnalo che il corso di giornalismo da me seguito anni fa presso il Collegio Nuovo fornisce alcuni consigli su come redigere un articolo che include un intervista. Quello principale è: inviare una copia dell’articolo all’intervistato/interessato, possibilmente prima della pubblicazione.

V2-day, per un giornalismo più serio.
25 aprile 2008. Torino, piazza San Carlo, dalle 15 alle 22. Io ci sarò.

Schiavitù di stampa

Tanti giornali

I più grandi giornali, tra cui i quotidiani nazionali, ricevono finanziamenti dallo stato; le televisioni sono in mano a una commissione formata da esponenti politici (Rai) e al nuovo Presidente del Consiglio (Mediaset).

Ma siamo sicuri che il problema della libertà di stampa sia tutto qui?

In questo post voglio parlare di una “sottile” incongruenza presente nelle leggi del nostro paese; incongruenza che, guarda caso, coinvolge la professione di giornalista e colpisce coloro che non appartengono alla Casta, il Grande Fratello della categoria, l’Ordine dei Giornalisti.

Ma andiamo con Ordine (ih ih, questa era proprio gratuita)

L’Ordine dei Giornalisti è un’istituzione fondata durante gli anni del Fascismo. All’epoca serviva per il controllo dell’informazione, che ogni dittatura che si rispetti deve assicurarsi. Negli anni successivi l’Ordine si è evoluto, benché senza rimanere al passo con i tempi. Per iscriversi all’Albo dei Giornalisti (“controllato” dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti), si può procedere in tre modi:

  1. Iscriversi al registro dei praticanti, rimanendovi per 18 mesi; dimostrare, durante tale lasso di tempo, di aver svolto effettivamente il praticantato presso una rivista il cui direttore sia iscritto all’Albo; sostenere e superare l’esame di abilitazione. Chi possiede questi requisiti può iscriversi all’Albo dei Giornalisti Professionisti, creato per coloro che scelgono il giornalismo come unica professione (compatibile con quella di docente universitario e poche altre).
  2. Presentare documentazione comprovante la collaborazione retribuita da almeno due anni presso una testata il cui direttore sia iscritto all’Albo. In questo modo si ha accesso all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti, creato per coloro che svolgono la professione giornalistica in modo non esclusivo.
  3. Essere direttori responsabili di una rivista a carattere tecnico, professionale o scientifico, ma non sportivo o cinematografico.

Per fondare un giornale, infine, la legge 47 dell’8 febbraio 1948 stabilisce che

«I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d’informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione:
del luogo e della data della pubblicazione;
del nome e del domicilio dello stampatore;
del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile.»

Il direttore responsabile? E chi è? Solite robe, suvvia: cittadino italiano, senza precedenti penali, che sia in possesso di…

«un documento da cui risulti l’iscrizione nell’albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull’ordinamento professionale».

Andiamo a scartabellare nella legge sugli ordini professionali, per scoprire che…

«Il direttore ed il vicedirettore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia di stampa, di cui al primo comma dell’art. 34 devono essere iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti salvo quanto stabilito nel successivo art. 47.
(La Corte costituzionale, con sentenza 2-10 luglio 1968 n. 98 ha dichiarato la illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alla parte in cui esclude che il direttore ed il vicedirettore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia di stampa di cui al primo comma dell’art. 34 possa essere iscritto nell’elenco dei pubblicisti).»

E meno male che c’è la Corte Costituzionale…

Ma veniamo al dunque. Qualcuno di voi avrà già notato l’inghippo: se un Don Chisciotte dell’informazione vuole fondare un proprio giornale anche per il solo gusto di dire la sua (nel rispetto della moralità, of course), la legge glielo impedisce. Per poter essere direttori un giornale “normale” (non tecnico, professionale o scientifico) bisogna aver già lavorato almeno 18 mesi in un altro giornale: in pratica è necessario aver ricevuto una lavata di capo degna del peggior 1984 e aver quindi “imparato” come si gestisce un giornale.

Ma la ciliegina sulla torta deve ancora arrivare: cosa dirà quel fantomatico articolo 47 citato nella legge sugli ordini professionali?

«La direzione di un giornale quotidiano o di altra pubblicazione periodica, che siano organi di partiti o movimenti politici o di organizzazioni sindacali, può essere affidata a persona non iscritta all’albo dei giornalisti.»

Piove sempre sul bagnato.

25 aprile 2008. V2-day. Torino, Piazza San Carlo. Io ci sarò.

Sondaggi e sondaggisti

Elezioni

Come ogni anno, i sondaggi fanno cilecca.

Forse siamo noi che sbagliamo, credendo che i sondaggi diano un’idea su come effettivamente andrà a finire la faccenda. Eppure i grandi istituti da qualche parte prenderanno idee da qualche parte, no?

Certo che sì! Ma allora siamo davvero noi che sbagliamo. Vediamo perché.

  • Gli istituti telefonano a “un po’ di persone”, diciamo 2000, di solito disaggregate per età, sesso, professione, zona geografica. Questo dovrebbe dare un risultato abbastanza efficiente.
  • Una volta fatta la domanda topica “Lei per chi voterà?”, viene stilata una statistica che prevede una forbice (Tizio sta tra il 20 e il 30 per cento) e un intervallo di confidenza, ovvero quell’errore naturale che si viene a creare per il fatto intrinseco che 2000 persone, per quanto scelte bene, non rappresentano la totalità della popolazione.
  • A questi risultati vanno poi aggiunti gli indecisi, che nelle ultime elezioni erano stimati, in tutti i sondaggi, al 30%. Poiché la percentuale di non votanti si è aggirata intorno al 20%, manca circa un decimo della popolazione, inizialmente dichiaratasi indecisa, che è andata a votare scegliendo uno dei candidati. E infatti i sondaggi post eventum sostengono che il 9,8% dei votanti ha scelto nella cabina del seggio la propria preferenza.

Quale è la soluzione, dunque? Abolire il suffragio universale…

Il Pungolo

Francesco Rutelli, dopo la doccia fredda delle amministrative a Roma, è stato ricoverato d’urgenza; stava delirando: “Pliz… vizit… auar… cauntri…”. Chiediamo tutti insieme a Silvio di non proporre Bondi come Ministro dei Beni Culturali: Rutelli potrebbe non reggere il colpo.

Election day

Ci siamo! Oggi l’Italia eleggerà il prossimo premier, che dalle prime proiezioni sarà Silvietto (per la terza volta, dopo il 1994 e il 2001). Per seguire in diretta i risultati consiglio il sito di Step1, più veloce e aggiornato di Repubblica e Corriere. Dalle prime “indiscrezioni”, si deduce che:

  • La paura dell’extracomunitario cattivo ha incrementato notevolmente i voti della Lega Nord.
  • La Destra non siederà in parlamento. Ma la destra sì.
  • La Sinistra non siederà in parlamento. E nemmeno la sinistra. Da questo risultato si deduce che la strategia del “voto utile” ha sortito gli effetti anticipati nei giorni scorsi (sperati?).
  • L’UDC non siederà, con buona probabilità, al Senato, ma solo alla Camera.
  • Il neonato PD è risultato il primo partito italiano (affermazione da prendere con le pinze: si veda la questione del “voto utile” sopra citata).
  • Ci terremo Silvietto ancora per cinque anni.

Ora non ci resta che attendere…

Ultima notte

Condannati Zero

Le elezioni sono alle porte e, come tutte le persone che vanno a votare e tengono al proprio diritto di voto, voglio dare anche io il mio consiglio per gli acquisti. Non ho mai nascosto la mia predilezione per le fila dell’Italia dei Valori, per cui ribadisco la mia posizione, ulteriormente consolidata dall’inchiesta di lavoce.info, secondo cui il partito dell’ex PM è l’unico “pulito”, ovvero senza condannati tra i candidati alle Camere. Qui è disponibile l’elenco dei candidati con pendenze penali che probabilmente faranno parte del prossimo governo.

Passando invece ad argomenti più seri – perché si sa, a ‘sto giro le elezioni sono una mediocre buffonata – il Festival del Giornalismo cui sto partecipando in questi giorni offre spunti di riflessione e inaspettate novità che, come al solito, i giornalisti stessi che partecipano al Festival fanno fatica a rendere pubbliche nelle testate per cui lavorano.

Nella miniera di informazioni che mi travolgono in questi giorni, la Repubblica riceve la maglia nera. Nell’intervento sul rapporto politica/giornalismo, il direttore Ezio Mauro, dopo un interessantissimo intervento dedicato alla tragedia della Thyssen di Torino, è stato vittima di una penosa caduta di stile, sponsorizzando in modo gratuito e non richiesto il suo giornale.

Senza cambiare testata, è ancora la Repubblica a prendere scelte poco “giornalistiche”, ma piuttosto “imprenditoriali”: l’edizione regionale della Sicilia risulta introvabile nella provincia di Catania, grazie a un accordo con un editore locale, al quale il quotidiano romano avrebbe portato via molti, troppi lettori. Sembra strano che l’unico caso a livello nazionale di una situazione così particolare si trovi in Sicilia…

25 aprile: V2-day