Notizie dal Primo Mondo

Derek Conway

L’Italia fa parte del G8, della NATO e dell’Unione Europea. Ma non per questo dobbiamo bullarci di vivere bene. Gli scioperi, la povertà e l’aumento inarrestabili dei beni di prima necessità ne sono la prova lampante.

E come non incolpare, in un paese potenzialmente ricco come l’Italia, la classe politica? So che è troppo semplice e rischia di portare a conclusioni affrettate, ma si sa che in tutti i misteri della vita la soluzione corretta è sempre la più semplice.

Viviamo in uno stato nel cui Parlamento compaiono 24 condannati, in cui ai giudici vengono tolti i casi “scottanti” che riguardano i politici, in cui esiste la possibilità che un processo finisca con un assoluzione perché il reato non è più un reato. E il fatto che chi ha approvato la legge sia il condannato stesso non desta neppure qualche sospetto.

Guardiamoci un po’ intorno: siamo sicuri che “sia giusto così”? Porto un esempio. L’uomo della fotografia è un deputato inglese. Qualche giorno fa viene scoperto in un atteggiamento inammissibile in un paese civile: far assumere il figlio in un progetto di ricerca da lui curato. Per questo è stato condannato a risarcire lo stato di 13.000 sterline (circa 20.000 euro), tanto era la cifra che il figlio aveva guadagnato tramite questo progetto.

Andando contro ogni giudizio sul nostro paese, sono pronto a scommettere che in Italia non sarebbe mai successo. Anzi, non sarebbero mai successe.

Che cosa?

  1. Non sarebbe mai successo che un parlamentare venisse incolpato di tale reato. Se così fosse, il numero di parlamentari condannati in via definitiva sarebbe ben superiore a 24.
  2. Non sarebbe mai sussistito il fatto in sé: nessun politico si sarebbe scomodato per la modica cifra di 20.000 euro. Rubare sì, ma con stile, altrimenti si rischia di fare pure la figura dello sfigato coi colleghi.

Forse ha ragione Bossi: la distinzione tra nord e sud non può essere ignorata. D’altronde, in Europa, l’Italia è piuttosto bassina…

Benvenuti nel Secondo Mondo. See you later, in the Third One…

Senatrice per caso

Negozio gay

Ieri il nuovo leader del Partito Demag… ehm Democratico, Walter Veltroni, ha inviato una lettera al quotidiano “La Stampa” per rimproverare il comportamento della Sen. Paola Binetti nei confronti degli omosessuali. Ricordo, infatti, che il personaggio in questione il 6 dicembre 2007 votò contro il governo di cui fa parte perché nel “pacchetto sicurezza” messo al vaglio del Senato (con tanto di fiducia) erano previste alcune norme che vietavano di fatto le discriminazioni relative al genere e all’omosessualità.

La Senatrice ha risposto oggi su “La Stampa” sostenendo la tesi secondo cui gli omosessuali sarebbero malati. Si legge, nell’articolo

Come neuropsichiatra ho esperienza decennale di omosessuali che si fanno curare. Non sono andata a cercarli io, sono loro che sono venuti in terapia da me perché dalla loro esperienza ricavano disagio, sofferenza, ansia, depressione e incapacita’ di sentirsi integrati nel gruppo. Non sono io a sostenerlo, è un dato oggettivo.

In seguito la Senatrice ricorda che fino a una decina di anni fa esisteva una specifica patologia sui manuali psichiatrici, l’omosessualità, considerata al pari di una malattia.

Ma in questo governo andiamo avanti o torniamo indietro? Se qualcuno prova disagio o ansia per una particolare situazione, che vada pure da uno psichiatra. Non per questo la sua situazione è da considerarsi malattia. Mi vengono in mente mille esempi di persone “normali” che hanno problemi con la loro “normalità”. Si pensi a tutti coloro che hanno deciso di cambiare sesso. Erano maschi (o femmine) e non si sentivano a loro agio. Allora hanno cambiato sesso e ora stanno bene. O cosa dire di Michael Jackson? Era nero, poverino, ma voleva essere bianco. Per questo consideriamo tutti i neri come “malati terminali”?

In effetti, se lo scopo è quello di tornare indietro, non sarebbe una brutta idea reintrodurre le leggi razziali del 1938 oppure, perché no,  rimettere in sesto il Tribunale dell’Inquisizione per coloro che, come Galileo, dicono sciocchezze a vanvera.

Sono sempre più deluso dall’operato di questo governo, ma più che altro sono sempre più convinto che non bisogna mettere insieme ciò che la Natura ha creato separato (come, per esempio, Vladimir Luxuria e Paola Binetti).

Tuttavia il giudizio finale su una questione così delicata spetta a Doretta.

Zio Rufus – Cosa ne pensi dei gay?
Doretta – Non sono proprio sicura di avere un’opinione a riguardo
Zio Rufus – Ma tu sei lesbica?
Doretta – Non si dice, non è educato, non è carino

Ecco che l’opinione viene fuori, dunque. Forse che dietro Doretta altro non ci sia che la Senatrice Binetti?

FS = Facciamo Schifo

Treno

Lo so che è troppo facile sparare sulla Croce Rossa, ma ogni tanto devo sfogarmi, devo tirar fuori quella bile che giorno dopo giorno le Ferrovie Italiane mi estirpano. Magari è una nuova cura per il tumore al fegato e in realtà lo fanno per il nostro bene.

Oggi dovevo tornare a Pavia partendo da Limone Piemonte: le due città sono vicinissime in linea d’aria, ma lontanissime in linea ferrata. Probabilmente è più semplice andare in traghetto da Perugia ad Aosta che andare in treno da Limone a Pavia. Sta di fatto che avevo trovato una bellissima soluzione con tre cambi che ci avrebbe messo solamente 4 ore e 44 minuti. Mi reco in stazione e aspetto il treno delle 12.17 che in teoria era partito da Ventimiglia verso le 11. Alle 12.14 l’autoparlante ne annuncia la soppressione. E qui m’incazzo. Avessero soppresso un treno in partenza dalla medesima stazione dove lo prendevo io, avrei capito: poteva essersi rotto, poteva aver scioperato il capotreno, ecc. Ma annunciare alle 12.14 la soppressione di un treno che doveva partire alle 11 mi sembra una leggera presa per il culo.

Dopo aver animatamente discusso (per usare un eufemismo) con la Capostazione di Limone Piemonte, sono passato alla soluzione successiva, con relativo cambio di programma: per sole 5 ore e 41 c’è l’alternativa, che transita da Ventimiglia. In pratica sono passato con il treno davanti a casa e ho fatto ciao ciao con la manina.

Il resto del viaggio è andato bene, ma il giudizio non cambia. Quindici anni fa c’erano solo treni locali e treni espressi, impiegavano il doppio del tempo rispetto a oggi per il loro tragitto, ma tutto funzionava in modo “umano”. Ora ci sono Intercity, InterCityPlus, Eurocity, Eurostar e tutte le combinazioni possibili di due o più perole anglofone: non sempre partono, e comunque arrivano sempre e regolarmente in ritardo. Gli unici treni in orario sono i Regionali: che sia l’esterofilia a portare sfiga?

Aggiungo una nota a dimostrazione del fallimento della privatizzazione dei treni. Se si prova ad andare sul sito www.trenitalia.com, tanto pubblicizzato da orribili canzoncine in altrettanto orribili spot una decina d’anni fa, si viene reindirizzati a www.ferroviedellostato.it. Sarà solo mera politica aziendale?

Cooperazione o globalizzazione?

Cooperazione Globalizzazione

Giovedì sera, finite le prove dei mitici Fruit Panic, mi sono dovuto sdoppiare per poter assecondare entrambi gli appuntamenti “cool” di una fredda e umida serata pavese. Non vado mai alle conferenze perché raramente trovo un buon motivo per farlo; il destino ha quindi pensato bene di mettere nella medesima sera gli unici due appuntamenti dell’anno che mi interessano. La cosa buffa è la contrapposizione politico/economica dei due incontri: al Collegio Ghislieri la presentazione di uno Stage presso Procter&Gamble, una delle multinazionali più criticate e boicottate del mondo (seconda, forse, solo a Nestlé), simbolo della globalizzazione; in Aula del Quattrocento un incontro con i ragazzi del SISM sulla cooperazione internazionale. Chi mi conosce penserà istantaneamente: “ma davvero ti interessano queste due manifestazioni?”. Sì, mi interessano.

Nell’incontro con Procter&Gamble, una mia cara amica ex alunna del Collegio Ghislieri presentava la sua personale esperienza di un anno di lavoro presso la celebre multinazionale. Al di là di quello che posso pensare o non pensare dell’incontro in sé, quest’ultimo rimaneva l’unico modo per salutarla prima che ripartisse per Roma, dove lavora.
Spendo ancora qualche parola per descrivere la parte della presentazione che più mi ha lasciato sconvolto, perplesso e, a tratti, terrorizzato: il sistema di selezione del personale in Procter&Gamble. La trafila prevede quattro step. Il primo è l’iscrizione al sito PGCareers: non si può venire assunti nell’azienda senza prima iscriversi al sito. Il secondo passo consiste nel compilare un questionario online della durata di una mezz’oretta. La terza fase della ripida scalata è un questionario scritto presso la più vicina sede dell’azienda. Per stessa ammissione della relatrice dell’incontro, si tratterebbe di uno stress test in cui non c’è tempo per pensare, ma solo per agire: 60 minuti per 100 domande di matematica, grammatica, logica, eccetera. Se a questo punto non si è ancora raggiunto l’esaurimento nervoso, di sicuro la quarta prova provvederà a procurarvelo: quattro colloqui con altrettanti dirigenti dell’azienda, per vedere di che pasta siamo fatti.
Se tutto questo non bastasse, aggiungo che il “test” è indipendente dalla mansione futura del candidato, per cui: il chimico che farà ricerca verrà sottoposto allo stesso test del matematico che farà statistiche di vendita il quale a sua volta verrà giudicato allo stesso modo dell’economista che gestirà il marketing. E non provate a inviare un curriculum: si può essere assunti solamente nel modo appena descritto. Contenti loro…

Il secondo appuntamento della serata era l’ultimo incontro di “What are we doing 2.0”, la settimana che Inchiostro dedica ogni anno alla cooperazione internazionale. I ragazzi del SISM (Segretariato Italiano Studenti di Medicina) hanno raccontato le loro esperienze in giro per il mondo. Anche se il fine poteva essere (e di fatto è stato) molto nobile, l’incontro a mio parere era paragonabile a un’iniezione di Valeriana condita con frasi fatte. Peccato.

Alla fine, per fortuna, una crepes con Nutella e gelato presso il Bistrot Ateneo ha risollevato le sorti della serata.

Gare d’altri tempi

Auto d’epoca

Di questi giorni è la soluzione francese al problema delle vittime dell’alcool sulle strade. Secondo la proposta, l’automobilista recidivo “pizzicato” ubriaco alla guida del suo bolide rischia il sequestro temporaneo dell’autoveicolo: il tempo necessario per l’installazione di un pratico marchingegno che misura la quantità d’alcool nel sangue. E se il guidatore non supera il test? Nessun problema: andrà a piedi, perché il suo bolide si rifiuterà di accendersi.

Devo dire che questa soluzione mi piace. Davvero. A parte un piccolo bug del sistema: se riesco a trovare nei paraggi (o magari è direttamente un mio passeggero) una persona sobria, posso sempre chiedergli se mi fa “un tiro” per accendere la macchina.

Io invece avrei altre due soluzioni, una preventiva e una punitiva.

Quella preventiva consiste nel limitare la velocità delle gare automobilistiche: massimo 130 km all’ora anche per le auto di Formula 1. E che cazzo: ci credo che tutti vogliono correre a più non posso (in particolare se “gasati” dall’alcool e magari da una bella ragazza adescata in discoteca), quando ogni domenica ci somministrano automobili a 300 all’ora! Forse lo spettacolo ne risentirebbe un pochino, ma vuoi mettere la soddisfazione di vincere una gara di questo tipo?

Tutto questo mi ricorda l’intervento intrapreso dalla Melandri per contrastare il fenomeno crescente dell’anoressia: rinunciare a modelle filiformi e introdurre nel mondo della moda persone finalmente “normali”.

Tornando alla guida, rimane la mia idea per l’ambito punitivo. Suggerirei di considerare arma a tutti gli effetti un’automobile in caso di guida sotto l’effetto di alcool. Uccidi una persona perché sei ubriaco e non l’hai vista? Perfetto: da un punto di vista legale equivale ad aver ucciso con una rivoltella. Con tutte le conseguenze a cui il fatto porta.

A questo ovviamente va aggiunto un “premio” per gli automobilisti sobri. Non sarebbe  male, ad esempio, gestire i limiti di velocità sulle Autostrade italiane come vengono gestiti in Germania: virtualmente non esiste alcun limite, se non in alcuni punti considerati più pericolosi. Dove. però. chi sgarra viene punito. Sempre.

Diamo i numeri

Natalie Portman

La foto potrebbe trarre in inganno, così come le categorie cui appartiene questo post. Eppure non c’è limite ai legami, mentali e non, che l’uomo riesce a fare tra argomenti più disparati.

Perché è di legami che si tratta. Un famoso matematico ungherese, Paul Erdos, era diventato negli anni Sessante il protagonista di un divertente “gioco” messo in piedi in conseguenza alla sua incredibile fertilità artistica. Poiché nella sua vita ha scritto articoli con ben 509 matematici diversi, era usanza tra gli addetti ai lavori chiedersi quale fosse il numero di Erdos di ciascuno. Tale valore altro non era che il numero minimo di collaborazioni (in termini di articoli) per “arrivare a lui”. Ad esempio chi avesse scritto un articolo con Erdos stesso aveva numero di Erdos 1, chi avesse scritto un articolo con uno di questi ultimi aveva numero di Erdos 2, e così via. Il Prof. Gilardi, docente di Analisi a Pavia, sfoggia sulle pagine del suo sito il numero di Erdos 4.

Ecco che i numeri, i legami e la matematica iniziano a rischiarare questo post dai mille significati. Ma che cosa c’entra Natalie Portman (l’attrice nelle foto) in tutto questo carosello di scienziati? Ebbene, girando sul web ho scoperto che la sexy-Imperatrice di Star Wars possiede un numero di Erdos. Ed è 7, per la precisione, come scrivono i molti siti amatoriali a lei dedicati e come giustamente scrive anche Wikipedia. L’articolo che la proietta nel mondo della scienza è Frontal Lobe Activation during Object Permanence: Data from Near-Infrared Spectroscopy, scritto a 12 mani nel 2001. Nel paper l’attrice ha ovviamente usato il suo vero nome, Natalie Hershlag, e la sua laurea in psicologia.

E poi dicono che i laureati in psicologia non trovano lavoro…

Adesso basta

Pallone

Nel recente post La guerra preventiva sostenevo che in Italia, prima di prendere una decisione, dovesse scapparci il morto. Mi sbagliavo, o per lo meno non consideravo le situazioni anomale, quelle per cui le regole della vita non valgono. Un po’ come i verbi irregolari nella grammatica italiana.

Il fatto è semplice quanto agghiacciante: un poliziotto ha ucciso un tifoso laziale in un Autogrill. Non voglio nemmeno sapere chi ha torto e chi ha ragione, il fatto in sé deve far riflettere. Ci avevano promesso che non doveva più succedere, eppure è successo. Anche in questo frangente, dove occorre prendere decisioni difficili, questo governo si è rivelato senza palle…

Gli uffici del Coni vengono devastati. I tifosi lanciano una bomba carta all’interno dell’atrio danneggiando i marmi. Completamente distrutto l’orologio con il count down verso le Olimpiadi di Pechino 2008, tutte le vetrate rivolte al lato di Lungotevere e i computer della reception. (dal sito di Repubblica)

Non si può andare avanti così: il calcio deve prendersi una pausa di riflessione, come nelle migliori coppie in difficoltà.

Io voto per un anno senza calcio.

Perché perché
la domenica mi lasci sempre sola
per andare a vedere la partita
di pallone
Perché, perché…
… questa volta non rimani qui con me!

La guerra preventiva

Risiko!

Ci lamentiamo senza sosta dei metodi americani, quando non sappiamo che stiamo vivendo dentro a una guerra preventiva bella e buona. In questi giorni (è sulla bocca di tutti) un giovane di nazionalità rumena ha aggredito e assassinato una ragazza romana durante una rapina. È qui che è scoppiata la guerra preventiva.

Non mi riferisco alle nuove norme che hanno dato maggiori poteri ai prefetti, ma a tutto quello che intorno a questo caso è nato: siamo italiani, e ogni tanto abbiamo bisogno di ricordarcelo.

Guerra preventiva è il lutto al braccio dei giocatori di Lazio e Roma, in occasione del derby: indossarlo prima del decesso della donna aggredita non è un po’ precoce? Dovrebbero indossarlo tutte le squadre in tutte le partite… tanto prima o poi qualcuno morirà. Sugli spalti, però, nessuno si è fatto male, nonostante si trattasse di un derby. Anche in questo siamo molto italiani: morire va bene, ma uno alla volta.

Guerra preventiva è il litigio tra destra e sinistra su argomenti come questo, dove essere uniti è fondamentale per dare un segno forte al Paese. Purtroppo siamo in democrazia, e l’opposizione deve fare il suo lavoro.

Guerra preventiva è pestare a volto coperto quattro rumeni in strada per il solo fatto che esistono.

Guerra preventiva, ma “giusta”, sarebbe stato occuparsi dei problemi veri quando era necessario, invece di litigare per approvare leggi inutili al Paese. Ora si corre ai ripari. E di nuovo siamo italiani: morire va bene, ma uno alla volta. Almeno uno.

L’inutile cibo

Benzinaio Barilla

Come nelle migliori situazioni naturali, spesso gli equilibri si invertono. Una volta è la gazzella a correre più veloce, un’altra volta è il leone. Un tempo l’uomo aveva bisogno del cibo per sopravvivere, ora l’automobile sembra aver preso il suo posto nella graduatoria delle priorità.

È notizia di questi giorni, infatti, l’aumento indiscriminato di pane e corrente elettrica. Niente che non sia strano o che non sia stato annunciato [1] [2]. Quello che però lascia veramente sconvolti è la motivazione di questi aumenti, in particolare di quello del genere alimentare più diffuso. Il grano, ingrediente fondamentale che incide per il 50% sul costo di produzione della pasta e del pane, è infatti ormai utilizzato quasi esclusivamente per produrre biocarburanti.

Da una parte aumenta il costo del petrolio, che fa aumentare quello di elettricità e benzina. Dall’altra parte, per arginare questi aumenti, viene incrementata la produzione di carburante a partire dal grano. Quindi c’è sempre meno grano utilizzabile per scopi alimentari. Risultato: a causa alla legge economica più vecchia del mondo di domanda/offerta, il prezzo del grano è salito alle stelle, portandosi con sé anche pasta e pane.

Pazienza. Anche in questo caso, l’evoluzione ci verrà incontro. Tra qualche decina d’anni mangeremo petrolio.

Ciao!

Gigi Sabani - Luciano Pavarotti

Vorrei dedicare un post a due persone che in questi giorni ci hanno lasciato. Erano personaggi diversi, ma avevano una cosa in comune: la capacità di sorridere e di far sorridere.

A loro quindi dico: ciao e grazie!