La fine dei numeri

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Si dice spesso che i numeri vanno avanti all’infinito. È un processo induttivo: se riesco a trovare un punto di partenza e a generare sempre un “successivo” a partire da qualunque numero, allora questi sono infiniti.

Eppure non sarà così per l’INdAM, alias Istituto Nazionale di Alta Matematica. Questo ente di valorizzazione per gli studenti di matematica più meritevoli sta per soccombere sotto l’implacabile scure del Governo, volta a rimettere i bilanci a posto in un Paese, l’Italia, che ha sempre sperperato un po’ troppo.

Lo stesso Governo che qualche anno fa ci ha tolto l’ICI per la prima casa e per la Chiesa, lasciando in ginocchio centinaia di comuni, ora è costretto a trovare i soldi da qualche altra parte, senza però intaccare le promesse elettorali, ovvero senza aumentare le tasse.

Stessa sorte dell’INdAM tocca ad altri enti analoghi, che si prodigavano (anche e soprattutto economicamente) a portare avanti scienze come la matematica, la fisica, la chimica e molte altre, che ormai hanno perso interesse a favore di scienze politiche, comunicazione e biotecnologie.

Qui potete trovare l’appello online contro la chiusura dell’INdAM.

Update. Nonostante sul sito dell’INdAM l’appello rimanga, sembra che l’ente sia stato graziato.

Fumare… conviene?

Nell’ambito della mia partecipazione al Master in Comunicazione della Scienza a Trieste, un video realizzato da me e da Eleonora Viganò è stato selezionato per la giornata internazionale contro il fumo, il No Tobacco Day, che si svolgerà lunedì 31 maggio dalle ore 10 alle ore 13 a Milano, presso l’Aula Magna dell’Istituto per i Tumori, in Via Venezian 1. Clicca qui per vedere dove si trova e qui per visualizzare il programma dell’evento.

Parteciperanno alla manifestazione anche le Iene di Italia 1.

Me on air

Domenica scorsa, nella sede dell’emittente triestina Radio Fragola, ho registrato insieme agli altri studenti del Master in Comunicazione della Scienza un programma radiofonico dedicato al ritorno al nucleare.

La trasmissione andrà in onda sabato 29 maggio alle 16.30 e conterrà interviste a Margherita Hack, Giovanni Bachelet, un rappresentante di Legambiente e molte altre personalità. Nel finale, un divertentissimo sketch ideato da Roberto Inchingolo e Flavio Perna.

Per chi non fosse triestino, la radio trasmette in streaming live su questo sito.

Update. È disponibile da ascoltare in podcast tramite questo link.

L’estinzione del buon senso

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Quanti di voi mangerebbero una tartina di leone? Oppure di panda? Nessuno, credo. Al di là delle motivazioni culturali, tutti diremmo: “Guai, sono animali in estinzione”. Questo è vero, sono animali a rischio, ma forse non così tanto.

Nella Red List dello IUCN, il principale database di specie animali, esiste un motore di ricerca attraverso cui monitorare la situazione di ognuna di esse, dalla più piccola alla più grande, dalla più nota alla più sconosciuta. Il “grado di rischio” di ciascuna specie varia in base ad alcuni parametri.

Il Panda (Ailuropoda melanoleuca), simbolo del WWF e del rischio di estinzione per antonomasia, è considerato ENDANGERED, ovvero “a rischio”. Se però ci divertiamo con il motore di ricerca, scopriamo che l’anguilla (Anguilla anguilla) è CRITICALLY ENDANGERED. Quella sì che è a rischio estinzione. Però è sott’acqua, non è morbidosa e non ne esiste una versione peluche di Trudy.

Giocare con la natura, come si è visto con la nube islandese, può essere molto rischioso. Nel giorno in cui dovremo mangiare panda perché non ci sarà nient’altro forse ce ne renderemo conto.

Consigli per un editoriale

Ieri e oggi, weekend del 25 aprile ma, soprattutto, weekend, abbiamo fatto come sempre lezione di giornalismo scientifico. Questa volta con Pietro Greco, rappresentante illustre della categoria, autore con Nico Pitrelli del volume “Scienza e media ai tempi della globalizzazione” .

La lezione di oggi verte sull’editoriale, articolo di solito presente nella prima pagina del quotidiano. Certo, è buffo che in un corso per attuali disoccupati in cerca di professione venga insegnato il punto più alto del lavoro che si accingono a fare. È un po’ come se durante un corso per factotum in arrivo al Mac Donald’s insegnassero a dirigerlo. Magari prima facciamo panini, eh?

Rielaboro il contenuto della lezione, prendendomene ogni responsabilità (se c’è qualche vaccata, è tutta colpa mia). Un editoriale, tendenzialmente, è un articolo che contiene:

  • Tesi forte. L’editoriale non deve descrivere gli eventi, ma deve prendere una posizione, spesso di tipo politico.
  • Argomentazione. Ogni tesi che si rispetti deve essere argomentata. L’autore deve convincere, non descrivere.
  • Chiusura. Non deve essere generica, ma rigorosa.
  • Interesse generale. Il target dell’articolo deve essere generico, quindi argomenti non troppo specifici e pochi tecnicismi. Possono, anzi spesso devono, essere presenti dati utili ad argomentare la tesi.
  • Individuare nocciolo. Deve essere chiaro il percorso dell’autore dell’editoriale.
  • Luoghi comuni. Vanno evitati, anche se spesso sono inevitabili.
  • Aggettivazione. Non essendo l’editoriale un testo descrittivo, può permettersi aggettivi e avverbi “forti”.
  • Eleganza. Non deve mai scadere, ma eventualmente far riflettere il lettore.

Il successo logora chi ce l’ha

Ho appena scritto al Fatto Quotidiano, oltre che lamentare per la terza volta la mancata ricezione di un numero del giornale, per segnalare un errore che definire “grossolano” sarebbe un complimento: a pagina 19 del numero di oggi 25 ottobre c’è una vignetta già pubblicata il giorno 16 ottobre.

Potevo forse sopportare le decine di errori di battitura che ogni giorno costellano il giornale, tuttavia mi sembra che la situazione stia degenerando.

Ricapitoliamo:

  • Padellaro (il direttore) sostiene che la sopravvivenza del giornale era prevista intorno a 30mila copie.
  • Il Fatto Quotidiano si vanta praticamente tutti i giorni di superare 100mila copie di tiratura.
  • Il giornale non riceve finanziamenti statali (e per questo ha tutta la mia stima), ma contiene pubblicità, costa 1.20 euro, ed è formato da 20 pagine.

Ora: cosa aspettano ad assumere un correttore di bozze?

Il Fatto Quotidiano, Santoro e la compagnia dei “farabutti”

Sì, è vero, così si ricade nel banale, tuttavia continuo a stupirmi del crescente numero di persone che legge “Il Fatto Quotidiano” e guarda programmi come “Annozero”. Per la televisione, posso solo basarmi sui dati auditel, analisi statistiche su un campione di poche migliaia di persone. Per il Fatto Quotidiano, invece, continuo a vedere in giro, sul treno e nei bar decine di persone che ne possiedono una copia (tutto ciò è nulla rispetto al kebabbaro di Padova dove compariva “Le Scienze” tra le letture lasciate lì per ammazzare il tempo).
Sperando che l’apparenza rispecchi la realtà, intravedo una sorta di retromarcia rispetto alla disinformazione che imperversa in televisione e nei giornali, a causa dei legami strettissimi tra i media e il mondo della politica.
Forse qualcosa sta cambiando, e la sopravvivenza di un quotidiano come “Il Fatto” (niente finanziamenti statali) dei prossimi mesi sarà un segno concreto che la situazione in Italia può migliorare. O, più probabilmente, abbiamo raggiunto il fondo da cui si può solamente risalire.

Il futuro del giornalismo

Il test che ho fatto per la SISSA prevedeva una rosa di sei argomenti, tutti di stampo scientifico, tra i quali ne ho selezionato uno sul futuro del giornalismo, con attenzione a quello scientifico. L’argomento è vasto e due facciate sono poche, tuttavia credo di aver composto un pezzo forse non bellissimo, ma all’altezza delle aspettative della Commissione. Un’eventuale mia presenza all’orale sarà la prova della mia previsione.
La paura della scomparsa dei giornali cartacei e della figura del giornalista professionista sono i soliti timori dell’istinto conservatore che contraddistingue l’essere umano. Quando la radio ha fatto la sua comparsa, si temeva lo stesso destino per i giornali cartacei: informazione in tempo reale, costi abbattuti, comodità. Stesso discorso per la televisione (che addirittura avrebbe dovuto spazzare via anche la radio). E invece sono tutti e tre in salute.
Ora che internet ha fatto la sua comparsa, tutti si aspettano la morte della carta stampata e della figura del giornalista professionista a causa della comparsa del cosiddetto citizen journalism, ovvero il giornalismo del cittadino, dal basso. Analizzando tuttavia la situazione attuale, si vede chiaramente che manca un personaggio in questo processo di cambiamento del giornalismo tradizionale: chi ci assicura che le informazioni trovate in giro per la rete siano affidabili?
Questo, dunque, è il futuro del giornalista: reperire le informazioni che la rete propone quotidianamente e marcarle con un sigillo che ne garantisca la veridicità e l’affidabilità.
Può darsi che in questa fase i giornali cartacei possano comunque subire perdite, anche pesanti, ma queste sono le regole del gioco.
Faccio un esempio. L’Unità, uno dei quotidiani più a rischio in Italia, vende attualmente circa 100 mila copie al giorno. Se dovesse chiudere da un giorno all’altro, le 100 mila persone che regolarmente lo acquistavano devono spostarsi su un’altra scelta. Forse non tutti troveranno l’alternativa alla loro lettura preferita, ma almeno un 80% (quindi 80 mila persone) passeranno a un altro giornale. Probabilmente si divideranno tra “Il Manifesto” e “Repubblica“, dipendentemente dalla loro devozione alle idee di centro sinistra (parte politica cui l’Unità appartiene). Questi due quotidiani aumenteranno quindi la vendita di copie, allungando la vita dei propri editori. Una sorta di “legge del più forte” che decreterà quali di questi quotidiani meritano la sopravvivenza e quali no.
Una volta che la situazione si sarà stabilizzata, forse il quotidiano cartaceo modificherà il suo scopo, puntando ad esempio più sul nome e sull’opinione piuttosto che sulla notizia, per la quale internet è ovviamente più veloce. Il giornale diventerà una sorta di versione “di lusso” dell’informazione.
Questa ovviamente è una mia personale ipotesi, che credo sia possibile e plausibile nel panorama del prossimo futuro. Poi, per il resto, i tempi cambiano in fretta, e un nuovo media potrebbe fare la sua comparsa per sconvolgere ulteriormente i delicati equilibri che governano l’informazione in questi anni.

SOS

La situazione è grave. Quando in un Paese che si definisce democratico l’opposizione è ridotta a chiedere aiuto all’estero, significa che una possibile dittatura è alle porte.

L’Italia dei Valori, quella che io considero l’unica vera forza di opposizione all’attuale governo guidato da Berlusconi, ha cavalcato l’onda del G8 per far sapere al mondo come in Italia la democrazia sia realmente a rischio. Ha parlato del Lodo Alfano, ha parlato del processo Mills, ha parlato della cena tra Berlusconi e due dei Giudici della Corte Costituzionale.

Tuttavia, ed è questo il vero problema, in Italia queste cose le sappiamo. Non siamo in Cina. I nostri giornali, anche se con meno attenzione di quanto potremmo aspettarci, le notizie le danno ancora. I telegiornali meno, è vero, ma il processo Mills e il Lodo Alfano sono informazioni che non sono passate inosservate.

Quello che dobbiamo chiedere all’estero, quindi, non è di liberarci di Berlusconi, ma di insegnarci a pensare con la nostra testa e, soprattutto, a votare. Il problema non è il Presidente del Consiglio che censura, perché non sono nemmeno troppo convinto che lo faccia davvero. Il nostro problema sono i giornalisti che si autocensurano per non perdere il posto, sono i pensionati che guardano solamente film e telenovele e, cosa ancora più grave, i molti, troppi giovani che credono nei reality.

Uscite, fate un giro, oppure state a casa e leggete internet. La vera informazione è qui; lo sono i blog, i giornali di ogni parte del mondo, lo sono le persone comuni che tutti i giorni usano la rete anche solo per dire come si sentono. Tramite Twitter il mondo ha saputo delle scosse sismiche in Abruzzo con tre ore di anticipo rispetto all’informazione tradizionale.

Questo è il futuro, ma solo nel nostro paese. Nel resto del mondo, infatti, è già presente.

Pacchetto (in)sicurezza

Mi vergogno di essere italiano. Ora lo posso tranquillamente urlare.

Ieri, 2 luglio 2009, il Parlamento Italiano ha approvato il discusso pacchetto sicurezza, che di fatto distrugge lo stato di diritto. In particolare ci troviamo di fronte a norme che violano qualunque trattato internazionale sui diritti basilari dell’essere umano.

Da una parte essere clandestini diventerà sempre più difficile e li sotterrerà sempre di più nell’illecito. Ad esempio un articolo della norma punisce chi affitta una casa a un clandestino con una pena che può variare tra sei mesi e anno di carcere. O, ancora, si può citare la norma che impone ai medici di denunciare i clandestini che si dovessero rivolgere a loro per le cure.

Dall’altra parte viene a crearsi un gap legislativo mostruoso per tutti i clandestini che avranno dei figli nel nostro paese. I neonati, infatti, non avranno più d’ufficio la cittadinanza italiana. Riporto un brano di un articolo di Enrico Di Giacomo, giornalista freelance.

In Italia questi bambini non potranno avere un nome e una cittadinanza, diventeranno invisibili, privi di qualsiasi documento che attesti la loro identità e quindi senza diritti, senza la possibilità di andare a scuola e particolarmente vulnerabili ad abusi, sfruttamento, tratta di esseri umani e a diventare vittime della criminalità organizzata. Per i bambini nati in ospedale si potranno aprire procedimenti per la dichiarazione dello stato d’abbandono del neonato poiché i genitori sono impossibilitati a riconoscerlo. Questi bambini potranno essere separati dai loro genitori, in violazione del diritto fondamentale di ogni minore a crescere nella propria famiglia ed è prevedibile che aumentino i casi di parti in ambienti non sicuri dal punto di vista sanitario, con gravi rischi per la salute delle madri e dei bambini. Questo è in palese contrasto con la Convenzione ONU dei Diritti dell’Infanzia(2) del 1989, resa esecutiva in Italia nel 1991, e con la nostra Costituzione che proteggono l’infanzia e la maternità. Per questo chiediamo con forza al Parlamento di modificare il testo in discussione in modo tale da ristabilire l’aderenza delle nostre leggi ai principi internazionali e della nostra Costituzione. Nessun bambino in Italia deve diventare invisibile!