Informazione completa

Ogni tanto mi illudo che ci siano giornali che danno tutte le notizie. Il giornale perfetto, direi. E in quanto tale non esiste.

Una tragedia ha colpito l’Italia, parlo dell’esplosione del vagone carico di GPL presso la stazione di Viareggio. Una tragedia che viene usata per coprire i fatti sgraditi all’una o l’altra parte politica.

Sì, perché se è vero che (giustamente) tutti i giornali hanno dato peso alla notizia di cronaca, la Repubblica ha taciuto una notizia scomoda al centro sinistra: l’azzeramento della giunta regionale della Puglia da parte del Governatore Nichi Vendola. Quando a maggio il Governatore della Sicilia aveva fatto la stessa cosa con la Sicilia il quotidiano romano aveva dato ampio risalto alla notizia. A cercare bene, comunque, l’articolo esiste, ma non è linkato da nessuna parte nella homepage.

Non so se consolarmi del fatto che nemmeno il Corriere della Sera (versione online) abbia inserito la vicenda nella prima pagina. A dire il vero non ho trovato la notizia nemmeno cercando nella sezione “Politica”. Tuttavia, di una testata ormai in crisi come quella di Via Solferino non mi stupisco: ha preferito inserire la notizia di una coppia giapponese che ha ricevuto a Roma un conto da 700 euro in un ristorante vicino a Piazza Navona.

Addio alla libertà

Dopo il post di addio al noto locale “Thunder Road” di Codevilla che oggi chiude i battenti, un altro pezzo di storia se ne sta andando. Si tratta della libertà dell’individuo, che ormai è minacciata da più fronti dall’attuale governo.

La legge sulle intercettazioni (1)

Troviamo in primis la nuova legge-bavaglio, appena approvata dalla Camera dei Deputati. Si tratta di una norma che impedisce l’utilizzo delle intercettazioni nei processi, tranne per motivi di mafia o terrorismo. In pratica se io dico a un mio amico che ho fatto una rapina in banca e vengo intercettato, la mia telefonata non può essere utilizzata in sede legale come prova a mio carico.

Se questo già non fosse sufficiente per urlare al golpe, dobbiamo tuttavia dare le giuste colpe. Leggendo la trascrizione della seduta, si legge infatti: “Avverto che il presidente del gruppo del Partito Democratico ha richiesto, ai sensi dell’articolo 51, comma 2, del Regolamento, che la votazione finale abbia luogo a scrutinio segreto.”

Perché? Semplice: alcuni Deputati del PD hanno votato con la maggioranza! Altro che golpe, qui siamo all’inciucio vero e proprio.

La legge sulle intercettazioni (2)

Come se non bastasse, all’interno della norma appena approvata alla Camera c’è un piccolo, invisibile comma che limita la libertà del web. Nella fattispecie, riassumendo, il detentore del sito internet diventa automaticamente responsabile dei contenuti pubblicati. Se questo apparentemente sembra sensato, non lo diventa nel momento in cui le persone possono commentare sui blog e scrivere sui forum. I commenti a questo articolo, secondo la legge in approvazione, diventerebbero di fatto farina del mio sacco e dovrei rispondere personalmente di ciò che in essi viene scritto.

I blog come questo, con poche visite al giorno, potranno anche sopravvivere, ma siti web più importanti come il blog di Beppe grillo o quello di Marco Travaglio subirebbero un pesante colpo.

Le ronde

La ciliegina sulla torta, per chi ancora pensasse che siamo in un paese libero, arriva con le ronde. Di fatto la norma già in funzione e voluta dalla Lega Nord ufficializza gruppi di comuni cittadini facendoli diventare veri e propri tutori dell’ordine, con un dubbio controllo sull’effettivo svolgimento del compito. Se all’inizio la cosa sarà magari gestita in modo rigoroso, chi mi dice che un domani non vengano a prendermi a casa perché voto dalla parte sbagliata? O chi mi dice che l’extracomunitario di turno non venga malmenato perché “sospettato” di aver commesso un crimine?

Colpo di scena

Per la prima volta nella storia della giurisprudenza mondiale (almeno per quanto io ricordi), internet è stato considerato diritto fondamentale di ogni cittadino. Il Consiglio Costituzionale francese ha infatti reputato contrario alla Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo (del 1789) la legge appena approvata dal governo che obbliga i provider a disattivare la connessione a internet per tutti quegli utenti che vengano “pizzicati” a scaricare musica e film da internet tramite il circuito peer to peer. La famosa norma, voluta dalle case discografiche, di fatto viene quindi svuotata della sua componente fondamentale, nonché deterrente per qualunque utente della rete. Al suo posto l’utente riceverà una “nota sul registro” che li sculaccia per aver scaricato materiale protetto da copyright da internet. Quanto poi questa letterina possa spaventare gli utenti è tutta da vedere.

Dopo lo straordinario risultato del Partito Pirata in Svezia, che è riuscito a prendere un parlamentare europeo, ecco una seconda pesantissima stangata per le case discografiche e cinematografiche.

Vale la pena accostare la situazione della Francia con quella dell’Italia, almeno in due punti.

  1. Il Consiglio Costituzionale francese opera in modo analogo alla Corte Costituzionale italiana. Tuttavia tra le due esiste una enorme differenza: quella francese agisce prima che la legge venga approvata. Se quella italiana funzionasse nello stesso modo, probabilmente ora l’Italia non avrebbe il lodo Alfano e, soprattutto, Berlusconi sarebbe processato per il caso Mills.
  2. È curioso come nello stesso giorno in cui in Italia viene approvata (con tanto di fiducia) una legge che impedisce la pubblicazione delle intercettazioni, in Francia una legge molto meno dittatoriale viene stroncata sul nascere perché di intralcio alla libertà di informazione di ogni individuo. D’altronde, sempre in questi giorni, Sarkozy ha incontrato Obama, mentre Berlusconi è pappa e ciccia con Gheddafi.

Il ritorno della censura

Pubblico di seguito un dispaccio dell’Agenzia Giornalistica Italiana, riguardo al messaggio di posta elettronica che sta girando in questi giorni sottoforma di passaparola.

Chissà perché certe cose i giornali nazionali non le dicono mai…

(AGI) – Trento, 10 giu. – Un noto religioso, padre Giorgio Butterini (del convento dei cappuccini di Trento) ha diffuso una mail nella quale critica il governo Berlusconi poiche’ – scrive testualmente – “si stanno dotando delle armi per bloccare in Italia Facebook, Youtube, il blog di Beppe Grillo e tutta l’informazione libera che viaggia in rete e che nel nostro Paese e’ ormai l’unica fonte informativa non censurata”.
Il frate ha titolato la sua innovativa forma di comunicazione elettronica “Perche’ lo Spirito vi tenga svegli”, e nel testo ricorda – tra l’altro – che “l’attacco finale alla democrazia e’ iniziato. Berlusconi e i suoi sferrano il colpo definitivo alla l iberta’ della rete internet per metterla sotto controllo”. Padre Butterini – sentito dall’Agi – ha confermato il contenuto della e-mail, laddove scrive che, “secondo il pacchetto sicurezza approvato in Senato se un qualunque cittadino che magari scrive un blog dovesse invitare a disobbedire a una legge che ritiene ingiusta, i provider dovranno bloccarlo”. Il religioso aggiunge che “il ministro dell’interno, in seguito a comunicazione dell’autorita’ giudiziaria, puo’ disporre con proprio decreto l’interruzione della attivita’ del blogger, ordinando ai fornitori di connettivita’ alla rete internet di utilizzare gli appositi strumenti di filtraggio necessari a tal fine. L’attivita’ di filtraggio imposta dovrebbe avvenire entro il termine di 24 ore. La violazione di tale obbligo comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 50.000 a euro 250.000 per i provider e il carcere per i blogger da 1 a 5 anni per l’istigazione a delinquere e per l’apologia di reato, da 6 mesi a 5 anni per l’istigazione alla disobbedienza delle leggi di ordine pubblico o all’odio fra le classi sociali”.
L’interrogativo che padre Butterini pone e’ quindi questo: “Immaginate come potrebbero essere ripuliti i motori di ricerca da tutti i link scomodi per la casta con questa legge?. Il cappuccino di Trento conclude cosi:'”Obama ha vinto le elezioni grazie ad Internet. Chi non puo’ farlo pensa bene di censurarlo e di far diventare l’Italia come la Cina e la Birmania. Oggi gli unici media che hanno fatto rimbalzare questa notizia sono stati Beppe Grillo dalle colonne del suo blog e la rivista specializzata Punto Informatico. Fate girare questa notizia il piu’ possibile. E’ ora di svegliare le coscienze addormentate degli italiani. E’ in gioco davvero la democrazia!!!”.

Il fatto

Il dormiente deve essere svegliato.

Con questa citazione dal capolavoro “Dune” di Frank Herbert introduco la novità editoriale del prossimo autunno. Fondato da una serie di giornalisti stufi del modo di fare informazione tutto italiano, a settembre emetterà i primi vagiti “Il Fatto”, un quotidiano che uscirà sei giorni su sette e che promette di dare le informazioni senza sottostare a questo o quel padrone. Tra i redattori spuntano i nomi di Marco Travaglio e Antonio Padellaro.

Il primo, ormai ricoperto di fama internazionale, sarà sicuramente il nome che permetterà al giornale di partire alla grande. Il secondo, reduce da esperienze di tutto rispetto come collaboratore presso il Corriere della Sera, L’Espresso e L’Unità, prenderà la direzione del neonato quotidiano.

In un’epoca dove i quotidiani tradizionali devono stampare il doppio delle copie che vendono per prendere più finanziamenti statali e quindi stare a galla, un gruppo di giornalisti rivoluzionari decide di prendere una strada completamente diversa introducendo sul mercato un nuovo prodotto che promette di sopravvivere senza tali finanziamenti.

Staremo a vedere come andrà a finire, o meglio, a iniziare. Intanto io mi sono già prenotato per un abbonamento. E se il dormiente si sveglia “incazzato”, vorrà dire che ne vedremo delle belle!

Siamo andati sulla Luna

Venerdì scorso sono stato invitato da Marco Cagnotti, giornalista svizzero del Corriere del Ticino, ad una conferenza organizzata, tra gli altri, anche da lui, il cui titolo era “L’eredità dell’Apollo 11 e il futuro umano nello spazio”. Il relatore, Luciano Anselmo, ricercatore presso il CNR di Pisa, è riuscito in due ore a mantenere alta l’attenzione del pubblico parlando della storia dell’esplorazione umana dello spazio e della passione che decine di migliaia di persone hanno messo in quest’avventura rendendo possibile ciò che da sempre era considerato impensabile.

In particolare, alcuni aspetti della conferenza hanno catturato la mia attenzione.

  • Le motivazioni che hanno spinto gli americani ad intraprendere questa colossale avventura.
    Alla fine degli anni cinquanta, i veri mattatori dello spazio erano i Russi. Loro hanno mandato la prima sonda nello spazio, loro hanno inviato il primo essere vivente nello spazio (la cagnetta Laika), loro hanno inviato il primo uomo nello spazio. Proprio per quest’ultimo motivo, capitato nell’aprile del 1962, in un periodo critico per la storia americana (la CIA stava cercando di ribaltare senza successo il governo di Castro a Cuba), il Presidente Kennedy in un suo celebre discorso annuncia che entro la fine del decennio un americano sarebbe arrivato sulla Luna, vi avrebbe messo piede e sarebbe ritornato incolume sulla Terra. Il discorso racchiudeva tre punti chiave: la distanza temporale relativamente breve entro cui compiere la missione, la scelta del nostro satellite come obiettivo, l’idea che gli astronauti sarebbero dovuti ritornare sani e salvi a Terra. Le parole di Kennedy si sono avverate nel 1969, il 20 luglio, davanti a 600 milioni di persone sparse in tutto il pianeta.
  • Perché dopo la missione Apollo (1961-1972) non siamo più tornati a passeggiare sulla Luna?
    Semplice: non ci sono i soldi. L’idea di un allunaggio con successiva passeggiata non era altro che una mossa pubblicitaria del governo americano. Nessuno l’aveva mai fatto, benché se ne parlasse da migliaia di anni. Inoltre la scelta di questo obiettivo metteva gli Stati Uniti, scientificamente indietro ma con un potenziale economico pressoché illimitato, in grado di competere con i Russi. Qualunque altra missione “intermedia” scelta da Kennedy sarebbe stata comunque troppo alla portata degli avversari. Sparare in alto era l’unico mezzo per partire ad armi pari. Ora l’obiettivo è raggiunto e, come tale, si è compreso appieno quanto scientificamente sia stato inutile, per cui ulteriormente inutile rimane ripetere l’esperienza. Inoltre, ed è un motivo non di secondaria importanza, i 40 anni che ci dividono da quell’epoca ha inevitabilmente azzerato il know-how scientifico necessario. Per poter ripetere l’esperienza sarebbero necessari probabilmente gli stessi soldi e lo stesso tempo impiegati negli anni Sessanta.
  • Cosa ci ha lasciato la missione Apollo?
    Da un punto di vista strettamente scientifico, nulla di più di quello che anni dopo ci hanno lasciato i robottini spediti in giro per il nostro satellite. Da un punto di vista prettamente umano, invece, ha permesso all’uomo di superare le barriere del logico e del possibile, dimostrando in maniera assolutamente lapalissiana che “volere è potere”. Non è però solamente una questione economica: la missione Apollo per mandare l’uomo sulla Luna è stato forse il primo evento che ha coinvolto centinaia di migliaia di persone le quali, come viti e bulloni di una macchina incredibilmente complessa, è riuscita in un intento nobile e impensabile fino a qualche anno prima.

Peccato è, però, pensare che tutta la conoscenza acquisita sia in gran parte irrecuperabile. Anche la tecnologia necessaria per costruire gli Space Shuttle (gli Stati Uniti ne possiedono ancora tre) sta rischiando grosso, a causa degli enormi tagli che i vari governi stanno facendo per i progetti spaziali. Credo tuttavia che sia giusto così: l’esplorazione del nostro Universo deve rimanere un “vizio”, un passatempo in cui, sì, investire tempo e denaro, ma senza dimenticare che esistono ancora adesso necessità e situazioni di assoluto degrato e di qualità della vita troppo bassi perché possiamo essere davvero orgogliosi di aver messo piede sulla Luna.Per coloro interessati alla visione della conferenza, segnalo il link della pagina di Paolo Attivissimo su Youtube dove sono inclusi tutti gli spezzoni dell’incontro.

La mediocrità al potere

Per questo post volevo cercare un titolo divertente, ma sono talmente schifato dalla politica italiana che qualunque tipo di divertimento sarebbe stato fuori luogo. Riporto di seguito una lettera che ho inviato a Gabriella Carlucci, deputato del Popolo delle Libertà nel Parlamento Italiano.

On. Gabriella Carlucci,
sono un programmatore informatico di 25 anni e Le scrivo per esprimere il mio sdegno nei confronti di alcuni Suoi articoli pubblicati sul blog http://www.gabriellacarlucci.it. In particolare mi riferisco al post del 19 dicembre 2008, in cui sostiene che scaricare film e musica da internet sia più costoso che acquistarli. Non solo la Sua tesi è palesemente falsa, ma a mio parere il ragionamento per giungere alla conclusione è totalmente privo di fondamento. Secondo la Sua ricostruzione, chi scarica musica e film da internet utilizza il pc, la connessione internet e la corrente elettrica per fare solamente quello. Inoltre, secondo il Suo ragionamento comprare legittimamente musica da internet utilizzando iTunes sarebbe anti economico: oltre a spendere le esorbitanti cifre che Lei snocciola nel suo articolo, bisogna aggiungere la spesa per l’acquisto del brano. Da cui si deduce che conviene scaricarlo illegalmente. Incredibile come si possa giocare con i numeri, no? Sempre secondo il Suo ragionamento, bisognerebbe poi aggiungere a favore del noleggio il costo dell’attrezzatura. Per scaricare da internet ho bisogno di pc, connessione, ecc. e per vedere il DVD noleggiato no? Ho sicuramente bisogno di un televisore (800 euro), un lettore DVD (100 euro) e magari un buon impianto stereo (1000 euro).

Certo, di molte di queste cose si può fare a meno, ma è possibile privarsi anche di un pc da 1000 euro, visto che per scaricare musica e film da internet è sufficiente un vecchio scatolotto di qualche anno fa con un hard disk capiente, il tutto reperibile senza problemi a meno di 200 euro.

Trovare scappatoie inutili per convincere la popolazione non porterà alcun risultato: un conto è la legge, l’altro è trovare scappatoie per evitare di applicarla. L’unico modo per rimettere in piedi un mercato florido della discografia è abbassare drasticamente i prezzi di musica e film. In questo secondo caso, ad esempio, il divario tra prezzo e valore è enorme. Mi spiego meglio. Vado spesso al cinema, amo andare al cinema, spendo i miei 7 euro per andare al cinema. Questo perché il cinema offre vantaggi e spettacolarità che il film scaricato (o noleggiato, certo!) non offrirà mai. Infatti il mercato del cinema è stato intaccato solo marginalmente dal fenomeno della pirateria. Inoltre, secondo quanto leggo regolarmente sui giornali, una volta che il film esce dalle sale cinematografiche per dirigersi al mercato domestico, ha già incassato più di quanto sia stato speso per produrlo. Perché quindi vendere un DVD del costo di 15 centesimi a prezzi esorbitanti come 20 euro? Si capisce bene che la sproporzione è notevole.

Un ragionamento analogo può essere fatto per il mercato della musica. Esce un disco, l’autore prepara il tour, le radio ci bombardano della nuova hit. Se si sommano gli incassi per i diritti e quelli dei concerti, si copre abbondantemente il costo di produzione del CD, che quindi può essere venduto a prezzi infinitamente inferiori a quelli attuali.

La soluzione non è far soldi sul supporto fine a se stesso: quell’epoca è finita. L’incasso lo farà il valore aggiunto: la proiezione al cinema, il gadget, i diritti di riproduzione in radio e in televisione, i concerti live. Tutto il resto è una guerra persa, e sono convinto il tempo mi darà ragione.

Saluti
Alessio Palmero Aprosio

Come la Cina…

Quando ho conosciuto per la prima volta di persona una ragazza cinese, uno dei primi argomenti affrontati è stata la censura: è davvero possibile che a più di un miliardo di persone venga nascosto un sistema di offuscamento delle informazioni della portata di quello cinese? La risposta è: sì.

Ebbene, quello che il nostro Parlamento sta approvando è esattamente un procedimento analogo, e il fatto che nessuno sia ancora sceso in piazza per protestare conferma la mia ipotesi: un governo può tranquillamente tenere all’oscuro la popolazione le informazioni “scomode”.

Ora, se un paragone con la Cina può essere forse eccessivo, ricordo che l’emendamento D’Alia appena passato in Parlamento vuole impedire che un sito web infranga la legge, in qualsiasi modo. La norma prevede anche che i provider chiudano immediatamente l’accesso alle pagine incriminate. Quindi se nel mio blog dico: “questa legge mi fa schifo, non rispettiamola”, ho buone probabilità che i provider italiani mi oscurino, perché incitare a non rispettare la legge è reato.

Riporto, sempre per analogia con la Cina, un passo di un articolo di Bloomberg, una delle maggiori agenzie stampa americane.

Italian Prime Minister Silvio Berlusconi, whose allies in the Senate helped pass the measure, owns Mediaset SpA, the country’s largest private broadcaster. Mediaset in July said it sued YouTube and Google for illegally distributing the television company’s content, seeking “at least” 500 million euros in damages.

Berlusconi has campaigned every weekend for the last month for his candidate, Ugo Cappellacci, against rival Renato Soru in the elections for governor of the island of Sardinia, which are scheduled to be held on Feb. 15 and 16. Soru is the founder and owner of 17.7 percent — through a blind trust — of Internet- service provider Tiscali.

Traduzione

Il Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, la cui maggioranza in Senato ha permesso alla legge di passare, possiede Mediaset SpA, la più grossa azienda di telecomuniazioni del paese. Mediaset in luglio ha detto di aver fatto causa a Google e YouTube per aver distribuito illegalmente contenuti video della compagnia, chiedendo almeno 500 milioni di euro di danni.

Berlusconi ha sostenuto, durante i weekend dell’ultimo mese, la campagna elettorale del suo candidato, Ugo Cappellacci, contro il rivale Renato Soru nelle elezioni del governatore della Regione Sardegna che si terranno il 15 e il 16 febbraio. Soru ha fondato e possiede il 17.7% (tramite “blind trust”) dell’internet service provider Tiscali.

Finché un articolo del genere ci darà informazioni che già possediamo, il problema non sussisterà. Il fatto però che noi rimaniamo indifferenti di fronte a questi due paragrafi non è una buona notizia. Svegliamoci!

Specchietto per le allodole

In questi giorni si parla continuamente del caso Eluana. Non c’è giornale, televisione o vecchietto-al-bar che non ne discuta. Se si esclude il calcio, ovviamente. Ora: è davvero così importante fare un “caso” di una questione che tocca una sola persona su 60 milioni di italiani (o, comunque, poche di più)? Non è che dietro tutta questa eco mediatica si cela qualcosa che “se passa in sordina è meglio”?

Ebbene, la mia opinione a riguardo è: sì! In questi giorni i media “governativi” ci sta stordendo con casi di importanza politica pressoché nulla per svariati motivi.

  • Il Governo sta portando avanti la riforma della giustizia, ma sembra che nessuno se ne sia accorto. Solamente Antonio Di Pietro continua la sua lotta, beccandosi pure una denuncia inesistente per aver insultato il Capo dello Stato.
  • Il Parlamento ha approvato una legge che definire razzista sarebbe un complimento: la norma prevede che i medici diventino dei “poliziotti” e denuncino un immigrato clandestino che si presenti al Pronto Soccorso. In pratica il prete ha il segreto confessionale, il medico no. In questo modo, oltre a inasprire ulteriormente i rapporti tra “autoctoni” e clandestini, si rischia maggiormente il dilagare di epidemie a causa degli immigrati malati che preferiscono tenersi la malattia piuttosto che tornare nel loro paese. Consiglio vivamente questi ultimi di andare a confessare al proprio prete di fiducia di essere malati: il segreto confessionale – quello esiste ancora – impedirà una sonora denuncia e, se la malattia del poveraccio di turno è sufficientemente contagiante, magari un po’ di cagarella al curato non fa nemmeno così male.
  • Ieri è stata proposto, all’interno del pacchetto sicurezza, un emendamento che imponga ai provider di chiudere i blog che commettano qualsiasi reato, ivi compresa l’istigazione a non rispettare una determinata legge. Quindi, se un sito esorta ai medici di fare obiezione e di non seguire le direttive della legge espressa al punto due, il provider di servizi deve chiudere l’accesso a quel sito. Mmh… “chiudere l’accesso”… suona molto cinese, eh?

Per non perdere nemmeno un secondo

Call center

Oggi ho scoperto alcune cose molto importanti e assurde sui fatidici call center, ovvero quelle stalle dove impiegati-animali stanno in spazi-loculo in continuo contatto con lo sfortunato di turno. Più o meno famosa è la battuta di Beppe Grillo, che manderebbe truffatori vari – invece che in carcere – a lavorare in un call center a 700 euro al mese.

Innanzi tutto occorre fare alcune premesse fondamentali riguardo al lavoro necessario per far funzionare a dovere un apparato di questo tipo. In principio non c’è il verbo, ma un’azienda interessata a contattare quanta più gente possibile, con metodi che spesso sfiorano il limite dell’illegalità (o ne vanno oltre). Questa azienda possiede dei team di lavoro periferici, che dividono i clienti-vittima in zone geografiche. In ciascuna zona geografica, questi team, che dovrebbero fungere da controllori dei call center, appaltano ad aziende terze le telefonate vere e proprie. Queste ultime assumono poi ragazzi, spesso part time, che fisicamente ci telefonano a casa.

Fin qui tutto bene, se non fosse che tutti gli anelli intermedi di questa catena guadagnano in base al numero di telefonate “andate a buon fine”, ovvero al numero di clienti che sottoscrive un qualche tipo di abbonamento. La regola vale a tutti i livelli: dal telefonista sottopagato, fino al componente del team che dovrebbe gestire le aree geografiche. Questo meccanismo provoca una serie di disagi, da parte dell’utente finale, destinatario della telefonata.

  • L’utente viene chiamato più volte durante la stessa giornata. Infatti i diversi call center non si “parlano” prima di stabilire chi chiamare, e altrettanto spesso i call center di una determinata zona chiamano utenti di zone che non sono di loro competenza. D’altronde la pagnotta arriva dal numero di contratti sottoscritto, e l’azienda non si lamenterà di certo se il call center di Milano trova clienti a Bari.
  • L’utente che dice di non volere il servizio viene richiamato. Vedi sopra.
  • L’utente che ha già sottoscritto l’abbonamento viene richiamato. Anche se questo caso può apparire paradossale, è successo anche a me: dopo la sottoscrizione dell’abbonamento a Fastweb, sono stato chiamato per sottoscrivere l’abbonamento a Fastweb. D’altronde se i call center non si parlano e non rispettano le zone geografiche di loro competenza, è ovvio che si generi il caos…
  • All’utente viene sottoscritto l’abbonamento anche se in realtà non lo vuole. In questo caso la filosofia del “più ne attivi, più guadagni” supera abbondantemente ogni morale. Quando poi l’utente si lamenta, magari mesi dopo, ormai la pagnotta è arrivata, e lo studentello part time non lavora nemmeno più in quel call center. Quando era accaduto a me con l’ADSL di Alice, Telecom Italia se l’era cavata rimborsandomi il maltolto: il gioco vale la candela, almeno per l’azienda, giacché pochi clienti mediamente arrivano alle vie legali per questioni di poche decine di euro. Da una parte, quindi, conviene al centralinista, dall’altra conviene all’azienda: perché mai qualcuno all’interno del “sistema” dovrebbe lamentarsi e provare a risolvere il problema?

Ora viene il bello. Spostiamo la nostra focalizzazione sul call center visto dall’interno. Il centralinista non sceglie l’utente che deve chiamare, bensì la scelta viene effettuata da un computer.

Perché? Semplice: si risparmia tempo.

Immaginiamo la scena in cui il centralinista compone il numero. Innanzi tutto perde secondi preziosi a comporlo, ma poi si troverebbe davanti a varie opzioni:

  • L’utente risponde
  • L’utente è occupato
  • L’utente non risponde
  • C’è un fax
  • C’è una segreteria telefonica

Non ci vuole un genio a capire che l’unico caso utile è il primo. Quando capita quindi uno dei rimanenti, il centralinista ha “perso tempo” inutilmente. Per questo motivo il lavoro di chiamare gli utenti lo fa il computer, che sa distinguere i vari casi (a parte, forse, quello della segreteria telefonica). Il centralinista viene “chiamato” solamente dopo che il computer ha deciso che dall’altra parte della cornetta c’è una persona umana (da che pulpito…). Ovviamente capiterà che non ci sono centralinisti liberi, nel qual caso il computer banalmente riattacca per riprovare più tardi: non sia mai che si perda un potenziale cliente!