step1

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Oggi mi è giunta notizia che un giornale universitario online rischia la chiusura. Il suo nome è step1 e ho avuto modo di conoscerne alcuni collaboratori durante il Festival del Giornalismo di Perugia.

La testata, nata quasi quattro anni fa nella Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università di Catania, ha continuato a guadagnare consensi e lettori, arrivando a oggi con più di 4500 articoli al loro attivo (circa 1300 ogni anno, il che vuol dire più di 3 al giorno!). Purtroppo troppo spesso le attività studentesche, anche se di successo, non ricevono dall’Università l’attenzione e i finanziamenti che meritano. Come è accaduto per Inchiostro qualche anno fa, durante un drastico taglio di fondi, ora tocca ai colleghi di step1 protestare e minacciare la chiusura, motivando le loro scelte in questo (ultimo?) articolo.

Dopo il rischio di chiusura per Facoltà di Frequenza, la prima radio universitaria, nonché probabilmente l’unica che va in onda su FM, emergenza fortunatamente rientrata (o meglio, rimandata di sei mesi), la vicenda che vede coinvolta step1 rimette in discussione il ruolo degli atenei quali enti di difesa della creatività degli studenti, ridimensionandosi a meri “alberghi per cervelli”, luoghi di passaggio in attesa di una vita migliore, troppo spesso all’estero.

Per concludere con ottimismo, citando l’epilogo dell’ultimo articolo di step1, se muore step1, viva step1!

Disinfografica

Infografica de La Stampa

Ieri su “La Stampa” è stato pubblicato un articolo di divulgazione informatica riguardo al “peso” di ciascun abitante della Terra. In particolare l’autore sottolineava come ognuno di noi in media “occupi” 45 Gigabyte di spazio digitale. A parte l’affidabilità di questo dato (credo che sia più precisa la stima sul numero di gocce che ci sono nel mare), è notevole come l’infografica centrale abbia preso una delle più grosse cantonate che io abbia mai visto. Almeno per quanto riguarda l’ambiente informatico.

L’articolo, a partire dal bit, arriva a spiegare a cosa corrisponde il fantomatico Gigabyte che, per i più profani, potrebbe effettivamente rappresentare un dato tanto piccolo quanto grande.

Il bit, come correttamente recita l’articolo, è l’unità più piccola che un computer può prendere in considerazione. Esso può assumere solamente valori 0 e 1, acceso e spento, come ognuno di noi potrebbe aspettarsi. In pratica, come l’essere umano utilizza la base 10 perché ha 10 dita nella mano, il computer utilizza la base 2 perché riesce a comprendere appieno solamente i concetti elementari di “acceso” e “spento”.

Dopo il bit arriva il byte. Di nuovo, correttamente, il giornalista ci racconta che quest’ultimo è formato da 8 bit. Non ci spiega il motivo di questa scelta, che è dettata semplicemente dalla praticità: così come per l’uomo 100 è una cifra tonda perché è 10 x 10, così lo è 8 per un computer, in quanto trattasi di 2 x 2 x 2.

Ecco che ora arriva la chicca: un Kilobyte è formato da 1000 byte. Non c’è affermazione più scorretta di questa. Come detto prima, il numero 1000 è comodo per la nostra percezione perché è 10 x 10 x 10, ma lo stesso ragionamento non vale per un computer, visto che a detta di quest’ultimo il numero 1000 non è altro che un valore come un altro, nemmeno particolarmente comodo. Il valore più vicino a 1000, tra quelli comodi per un sistema in base 2, è 1024, in quanto prodotto del numero 2 per se stesso 10 volte, ovvero 2 x 2 x 2 x 2 x 2 x 2 x 2 x 2 x 2 x 2. Una manna per i nostri fedeli amici a transistor, insomma, che però il giornalista deve aver dimenticato.

Per convenzione, quindi, si è stabilito che in ambito informatico i vari prefissi Kilo-, Mega-, Giga-, Tera-, Peta- ed Exa- indicassero la moltiplicazione per 1024 invece che per 1000. Tale convenzione è chiaramente dettata dalla vicinanza di 1024 a 1000, il che rende l’approssimazione a 1000 vicina al valore effettivo. Tuttavia, in un articolo di giornale atto a spiegare proprio cosa fossero quei 45 Gigabyte che ognuno di noi occuperebbe, la precisione sulla sua definizione non poteva essere trascurata in modo così palese.

A trovare sempre il pelo nell’uovo, l’articolo scrive le varie unità di misura (Kilobyte, Megabyte, ecc.) con la lettera minuscola. Qualcuno dovrebbe spiegare al giornalista che tali termini vanno scritti maiuscoli…

Dare le lettere

Lettere

Con tutte queste sigle, alla fine qualcuno si confonde. E qualcun altro ci frega.

Già Beppe Grillo notava che, volenti o nolenti, i due partiti maggiori (Partito Democratico e Popolo della Libertà) hanno sigle molto simili: PD e PDL. Così come erano simili i rispettivi programmi di governo, più attenti alle poltrone e ai “potenti”, piuttosto che di tutti quei cittadini che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese.

Oggi il dilemma delle lettere si ripete: decreto legge o disegno di legge? DL o DDL?

Tutto è iniziato con la famosa bagarre sulle intercettazioni: il tema “scottante” è stato presentato al Quirinale oggi sotto forma di decreto legge e non di disegno di legge.

Esaminiamo ab ovo il nostro sistema di governo per capire quanto sia effettivamente grave l’errore (e importante la distinzione tra i due documenti).

Nella nostra democrazia esistono in pratica due “enti” che gestiscono i poteri legislativo (fare le leggi) ed esecutivo (approvare le leggi). Il Governo, primo dei due enti, formato dal Consiglio dei Ministri e dal suo Presidente, ha il compito di proporre le leggi. Di scriverle, in sostanza. Il Parlamento, secondo ente, vota le proposte del Governo, spesso proponendo emendamenti (ovvero modifiche). In ogni caso, ogni legge deve passare alla Camera, al Senato e al vaglio del Presidente della Repubblica, dopo di che diventa effettiva. La proposta di legge (detta anche disegno di legge) è proprio la prima bozza preliminare che il Governo propone al Parlamento per la votazione.

In casi particolarmente urgenti, invece, il Governo ha la possibilità di emanare un decreto legge, ovvero un atto straordinario che diventa legge immediatamente, senza il consenso del Parlamento. Il Governo avrà poi 60 giorni di tempo per proporla in Parlamento e seguire l’iter consueto, senza il quale viene annullata retroattivamente. Esempio di decreto legge è l’aumento di potere dato ai prefetti dopo l’omicidio della donna a Tor di Quinto per mano (non proprio la mano, diciamo) di un rumeno.

Confondere le due cose, quindi, è un errore da principianti. Si può paragonare a un calciatore che prende il pallone con la mano. La giustificazione del Presidente del Consiglio («è stato un refuso»), pur placando la polemica, non basta certo a scagionare un Governo dall’accusa, seppur morale, di palese incompetenza.

Inoltre, data l’importanza della legge in questione e di tutte le polemiche che sta scatenando, non c’è bisogno di essere in malafede per pensare che lo sbaglio sia stato un po’ “forzato”. Come non collegare a tutto ciò, infatti, l’inchiesta della Procura di Napoli che sta indagando il Presidente del Consiglio per corruzione, proprio grazie alle intercettazioni delle sue telefonate con Agostino Saccà, presidente di Rai Fiction?

Pecora stupra pecora

Pecora

Su “city” di venerdì scorso campeggiava in prima pagina il titolone “Italiano stupra e mette incinta ragazzina di tredici anni”.

Non so voi, ma a me sfugge la notizia.

Cosa è più importante? Il fatto che la stuprata avesse 13 anni oppure che lo stupratore fosse italiano? E perché nel titolo non è stato scritto che la ragazza era marocchina? Si scrive solo quando il marocchino è il “cattivone” di turno?

Uno studio Istat di dicembre 2007 mostra che solamente il 10% degli stupri in italia è commesso da stranieri. Considerando che gli stranieri, in tutto, sono il 6.2% della popolazione, non è così scontato tirare somme sbagliate: una differenza così piccola non giustifica lo stupore nello scoprire che anche gli italiani stuprano.

Purtroppo duole constatare per l’ennesima volta quanto in Italia l’informazione sia orientata verso ciò che i politici vogliono propinarci, creando un clima di terrore che poi inevitabilmente sfocia nella vittoria di un partito xenofobo e nell’approvazione di una legge unicum in Europa.

Ora una piccola digressione che mi è venuta in mente ragionando sul problema. Se un pastore sardo stupra una pecora qualsiasi, la cosa di per sé non fa notizia. Ma cosa succede se un personaggio famoso stupra una pecora? Fa più notizia? E cosa dire di un sardo che stupra un animale famoso, come ad esempio Dolly, la prima pecora clonata? Quale dei due avvenimenti fa più notizia?

La casta della non-casta

Gian Antonio Stella

Orwell, nel celebre libro “La fattoria degli animali”, immaginava un mondo in cui gli animali si ribellassero agli uomini e diventassero padroni di se stessi. Un’autogestione della fattoria che, nell’idea iniziale, doveva portare alla democrazia.

Proseguendo nella lettura, scopriamo che non andò proprio così. In una società moderna, ci sarà sempre un governatore e ci sarà sempre un governato.

Gli stessi Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, nel loro libro “La Casta”, denunciano appunto una vera e propria casta di personaggi (politici, imprenditori, ecc.) inavvicinabili, inattaccabili e irraggiungibili dalla “plebaglia”, ovvero tutti gli altri.

Ma siamo sicuri che “tutti gli altri” non siano a loro volta così? Ad esempio, il Prof. Stella, giornalista di fama nazionale, non sarà per caso figliol prodigo proprio del suo libro? Quest’ultimo, infatti, invitato da Inchiostro a presentare il suo libro a Pavia, non si è degnato di venire, adducendo come scusa il non muoversi per un giornale di qualche studentucolo  – versione “a voce”; la scusa ufficiale, ovviamente, era la mancanza di tempo.

Tempo che però non è mancato quando a invitarlo è stata Il Cantiere per Pavia, associazione politica orientata verso il centro sinistra. Il 10 giugno prossimo il giornalista-scrittore sarà – con nonchalance – ospite presso la Libreria Loft 10 in Piazza Cavagneria.

Peccato: sarebbe stato bello pensare che c’era veramente qualcuno fuori dalla casta che la denunciasse dal basso. Questo episodio è l’ennesima conferma che i grandi cambiamenti, anche se mascherati in modo oculato, devono sempre e comunque essere approvati da chi di quei cambiamenti subirà maggior danno.

Notina. Rimanendo in tema “casta”, oggi è l’ultimo giorno in cui posso viaggiare gratuitamente sui treni essendo figlio di ferroviere: tale privilegio cessa infatti inesorabilmente al compimento del venticinquesimo anno di età. Dura lex, sed lex.

Nausea bipartisan

Veltroni e Berlusconi

Oggi è stata una lunga giornata per la politica italiana.

E un po’ anche per me, visto che mi sono alzato all’alba delle nove e mezza.

Il motivo della mia levataccia è stata l’intervista, da parte di un redattore di Inchiostro, a Furio Colombo, deputato del Partito Democratico nonché ex direttore de L’Unità. L’appuntamento era per le 11.

Mentre l’intervista, iniziata alle 11.10, prosegue in scioltezza (l’On. Colombo è stato molto gentile e loquace) mi sono collegato a internet. Al fine di ottenere informazioni sul suddetto Deputato, a un certo punto mi cade l’occhio sul sito della Camera, in fibrillazione per l’annosa questione di Rete4.

Ma come? Furio Colombo sta parlando al telefono e alla Camera si stava discutendo una legge così importante?

Guardo meglio: Furio Colombo risulta presente.

Ascolto meglio: in sottofondo, nella telefonata, riesco a percepire la voce del Deputato dell’Italia dei Valori che contemporaneamente vedo in streaming sul sito della Camera.

Non solo. Guardando sulla lista degli interventi, risulta anche un intervento dello stesso Colombo, avvenuto alle 10.58, pochi minuti prima dell’appuntamento delle 11. In pratica, una volta detta la propria opinione ci si può considerare liberi, e chi se ne frega di quelli che parlano dopo.

Ma al peggio non c’è mai fine. Tutto sommato Furio Colombo, almeno, a Montecitorio c’era. Sì perché la maggioranza, nonostante il nome che porta, oggi è andata sotto di due voti. Colpa dell’assenteismo, ovvero di quegli 80 Deputati pagati con i soldi degli italiani che non si sono presentati al lavoro questa mattina.

Rimanendo in tema, ma ringiovanendo un po’ corpo e mente, è notizia di oggi pomeriggio la rissa scoppiata tra esponenti di fazioni avverse (sinistra e destra, che novità) alla Sapienza di Roma. Un nome, un ossimoro. Sei persone arrestate e altrettante ferite. Tutto perché la destra voleva fare una conferenza sulle foibe, mentre la sinistra – pluralista solo quando si parla “rosso” – non voleva che avesse luogo in nome dell’antifascismo. Il Rettore, preferendo evitare eventuali subbugli, ha quindi negato l’aula per la conferenza.

Devo ammettere che lo scopo è stato raggiunto…

Il panda Fede

Panda

Quando un animale si trova a rischio di estinzione, è giusto fare di tutto per difenderlo. Sembra che proprio questo sta facendo l’attuale Governo con Rete 4. La terza TV mediaset, infatti, secondo quanto dice una sentenza della Corte di Giustizia Europea, dovrebbe finire sul satellite (o sul digitale terrestre) per lasciare le sue frequenze alla mai-nata Europa 7.

Da maggio 2008, e con effetto retroattivo dal 2006, il Governo Italiano paga 300 mila euro di multa al giorno perché Rete4 trasmette ancora sull’analogico senza permesso. Come se non bastasse, in questi giorni il nostro Governo (presieduto, guarda caso, dal padrone della suddetta rete televisiva) sta varando un emendamento che prolungherebbe la vita di Rete4 sull’analogico. Il fatto che si faccia tutto questo anche per continuare a vedere in televisione Emilio Fede non migliora certo la situazione.

La Legge che porta il nome di Gasparri varata durante il vecchio Governo Berlusconi definiva il digitale terrestre una nuova frontiera dell’innovazione. E ora come mai per Rete4 non va bene? Si erano sbagliati?

Chiunque abbia a cuore la libertà di informazione e il rispetto per la legalità è invitato ad unirsi alla protesta dell’Italia dei Valori, martedì 27, in piazza Montecitorio, a partire dalle 11, per esprimere la propria disapprovazione nei confronti di quella che sarebbe una nuova, vergognosa, legge ad personam.

Secondo piano

TG3

Quando ormai non c’è più nulla da fare, è giusto assecondare il destino oppure si deve continuare a combattere fino alla fine? Se fossimo in una nazione normale, di persone con un minimo di amor proprio, la risposta sarebbe indiscussa: si combatte fino alla fine. Tuttavia in Italia gli eroi ormai non vanno più di moda, almeno da un centinaio di anni. Una fuga di cervelli ante litteram che ci ha lasciato una classe politica degna della peggior dittatura.

Durante l’ultimo consiglio di amministrazione della Rai si è deciso infatti di spostare due baluardi di vera informazione, il TG3 e Primo Piano, dalla seconda serata a notte fonda, per sostituirli con un programma di intrattenimento. Una “pacca sulle spalle” che il vecchio governo (i membri del cda non sono ancora stati sostituiti) ha voluto fornire a quello nuovo, per proseguire un lavoro di distruzione del giornalismo d’inchiesta iniziato dall’attuale Presidente del Consiglio con l’editto bulgaro.

In un comunicato sindacale andato in onda ieri sera su Raitre, la redazione intera della testata giornalistica si dissocia dalla decisione. Comunicato che verrà ignorato, a meno che non si metta in opera una campagna di boicottaggio della trasmissione che sostituirà i programmi di approfondimento di Raitre. Da parte mia, non possedendo una televisione, il boicottaggio è già in fieri.

Update 17 maggio 2008: Sembra che la questione si sia ridimensionata. Vedremo come andrà a finire.

V2-day

V2-day

Ieri, come ormai pronosticato da diversi mesi, c’è stato il V2-day. E, come già anticipato su questo blog, io c’ero. Posso presentare come prova addirittura una foto apparsa sul sito de “Il Giornale”.

La giornata era splendida, il caldo quasi insopportabile e la gente tantissima (credo che Grillo abbia decuplicato il numero di persone dell’altra piazza, che festeggiavano la Liberazione). Tra gli ospiti: Er Piotta, Marco Travaglio, Natalino Balasso, professori vari ed eventuali da ogni parte del mondo, rappresentanti di organizzazioni italiane – e non – seguite dal comico genovese.

Per firmare ho fatto quasi un’ora di coda, ma ne valeva la pena (anche perché “Il Giornale” mi ha fatto al foto proprio in quel momento, ih ih). La piazza era gremita da un numero di persone che non so stimare da solo: secondo gli organizzatori erano 120 mila, secondo la Questura 40 mila. Credo che 60/70 mila possa essere un numero adeguato.

Ma passiamo al tema della manifestazione: l’informazione. A tale proposito ho appena letto, sconcertato, come i principali quotidiani nelle loro edizioni online hanno dato la notizia. La maglia nera spetta all’Unità, una delle testate particolarmente prese di mira dallo spettacolo di Grillo.

Segnerò alcuni punti che secondo me sono importanti nella stesura di un articolo e darò un giudizio alle varie testate. Alcuni punti sono i seguenti:

  1. È stato detto che nell’altra piazza c’era molta meno gente.
  2. Sono state date entrambe le stime sulla partecipazione, come peraltro accade usualmente per le manifestazioni.
  3. Viene detto che le firme sono state raccolte in 450 piazze in tutta Italia (e alcune nel mondo).
  4. Vengono confermate/smentite le informazioni che Grillo ha dato durante il suo spettacolo.
  5. La testata ha dedicato più di un articolo all’evento.
  6. L’articolo spiega le motivazioni della raccolta firme.

Repubblica

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. La testata diretta da Ezio Mauro ha dato molto spazio a immagini e video, senza però soffermarsi sulle motivazioni dell’evento e sulla raccolta delle firme. Gli interventi di Grillo sono stati inseriti tra virgolette senza alcun commento o smentita da parte del giornalista che ha scritto l’articolo. Molto completa e dettagliata l’edizione locale di Torino. Voto: 6,5.

Corriere della Sera

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Decisamente più completo del suo “rivale” più accanito. Ha dedicato ampio spazio e vari articoli alla manifestazione, senza però soffermarsi sulle argomentazioni di Grillo. Voto: 7.

La Stampa

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Poco spazio, nonostante il quotidiano abbia sede a 100 metri dalla piazza dove si è svolta la manifestazione. A suo favore gioca il ruolo di new entry tra le testate online “sulla notizia”. Voto: 6.

Il Giornale

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Paradossalmente, il quotidiano di casa Berlusconi (duramente criticato da Grillo) ha dato pochi giudizi di merito sull’evento e ha dedicato un articolo di ampio respiro con spiegazioni, anche se prese a prestito dalle parole del comico, sui tre referendum. Voto: 7,5.

L’Unità

Leggi l’articolo scritto a caldo il 25 aprile. Il quotidiano del centro sinistra si è rivelato peggio di quanto mi sarei aspettato, titolando addirittura “Grillo straparla” l’articolo dedicato alla manifestazione. Certo è che il comico genovese ha citato più volte L’Unità, in particolare per la questione dei finanziamenti statali all’editoria, ma la verità fa male. Nell’articolo: pochi dati, poche spiegazioni, frasi forti contro Grillo. Nonostante l’intervento molto interessante di Marco Travaglio all’evento, il giornale per cui quest’ultimo regolarmente scrive non sembra avere apprezzato. Voto: 4.

Schiavitù di stampa

Tanti giornali

I più grandi giornali, tra cui i quotidiani nazionali, ricevono finanziamenti dallo stato; le televisioni sono in mano a una commissione formata da esponenti politici (Rai) e al nuovo Presidente del Consiglio (Mediaset).

Ma siamo sicuri che il problema della libertà di stampa sia tutto qui?

In questo post voglio parlare di una “sottile” incongruenza presente nelle leggi del nostro paese; incongruenza che, guarda caso, coinvolge la professione di giornalista e colpisce coloro che non appartengono alla Casta, il Grande Fratello della categoria, l’Ordine dei Giornalisti.

Ma andiamo con Ordine (ih ih, questa era proprio gratuita)

L’Ordine dei Giornalisti è un’istituzione fondata durante gli anni del Fascismo. All’epoca serviva per il controllo dell’informazione, che ogni dittatura che si rispetti deve assicurarsi. Negli anni successivi l’Ordine si è evoluto, benché senza rimanere al passo con i tempi. Per iscriversi all’Albo dei Giornalisti (“controllato” dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti), si può procedere in tre modi:

  1. Iscriversi al registro dei praticanti, rimanendovi per 18 mesi; dimostrare, durante tale lasso di tempo, di aver svolto effettivamente il praticantato presso una rivista il cui direttore sia iscritto all’Albo; sostenere e superare l’esame di abilitazione. Chi possiede questi requisiti può iscriversi all’Albo dei Giornalisti Professionisti, creato per coloro che scelgono il giornalismo come unica professione (compatibile con quella di docente universitario e poche altre).
  2. Presentare documentazione comprovante la collaborazione retribuita da almeno due anni presso una testata il cui direttore sia iscritto all’Albo. In questo modo si ha accesso all’Albo dei Giornalisti Pubblicisti, creato per coloro che svolgono la professione giornalistica in modo non esclusivo.
  3. Essere direttori responsabili di una rivista a carattere tecnico, professionale o scientifico, ma non sportivo o cinematografico.

Per fondare un giornale, infine, la legge 47 dell’8 febbraio 1948 stabilisce che

«I giornali, le pubblicazioni delle agenzie d’informazioni e i periodici di qualsiasi altro genere devono recare la indicazione:
del luogo e della data della pubblicazione;
del nome e del domicilio dello stampatore;
del nome del proprietario e del direttore o vice direttore responsabile.»

Il direttore responsabile? E chi è? Solite robe, suvvia: cittadino italiano, senza precedenti penali, che sia in possesso di…

«un documento da cui risulti l’iscrizione nell’albo dei giornalisti, nei casi in cui questa sia richiesta dalle leggi sull’ordinamento professionale».

Andiamo a scartabellare nella legge sugli ordini professionali, per scoprire che…

«Il direttore ed il vicedirettore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia di stampa, di cui al primo comma dell’art. 34 devono essere iscritti nell’elenco dei giornalisti professionisti salvo quanto stabilito nel successivo art. 47.
(La Corte costituzionale, con sentenza 2-10 luglio 1968 n. 98 ha dichiarato la illegittimità costituzionale del presente comma, limitatamente alla parte in cui esclude che il direttore ed il vicedirettore responsabile di un giornale quotidiano o di un periodico o agenzia di stampa di cui al primo comma dell’art. 34 possa essere iscritto nell’elenco dei pubblicisti).»

E meno male che c’è la Corte Costituzionale…

Ma veniamo al dunque. Qualcuno di voi avrà già notato l’inghippo: se un Don Chisciotte dell’informazione vuole fondare un proprio giornale anche per il solo gusto di dire la sua (nel rispetto della moralità, of course), la legge glielo impedisce. Per poter essere direttori un giornale “normale” (non tecnico, professionale o scientifico) bisogna aver già lavorato almeno 18 mesi in un altro giornale: in pratica è necessario aver ricevuto una lavata di capo degna del peggior 1984 e aver quindi “imparato” come si gestisce un giornale.

Ma la ciliegina sulla torta deve ancora arrivare: cosa dirà quel fantomatico articolo 47 citato nella legge sugli ordini professionali?

«La direzione di un giornale quotidiano o di altra pubblicazione periodica, che siano organi di partiti o movimenti politici o di organizzazioni sindacali, può essere affidata a persona non iscritta all’albo dei giornalisti.»

Piove sempre sul bagnato.

25 aprile 2008. V2-day. Torino, Piazza San Carlo. Io ci sarò.